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È l’ultima frontiera della lotta al cancro, quella che oggi dà speranza a chi fino a dieci anni fa non ne avrebbe avuta. L’immunoterapia è l’ultima arma aggiuntasi all’arsenale con cui si provano a sconfiggere i tumori: chirurgia, chemio e radioterapia le altre opzioni disponibili. A differenza della chemioterapia, con cui si «spara» un farmaco sulle cellule cancerose con l’obiettivo di distruggerle (ma non in maniera troppo selettiva), l’obiettivo dell’immunoterapia è quello di dare l’input al sistema immunitario affinché punti il mirino soltanto sulle cellule cancerose. Il progetto finale è quello di arrivare a fare del cancro una malattia cronica, con cui poter convivere anche per diversi anni. L’ultima novità porta però a pensare che la risposta alle diverse combinazioni immunoterapiche possa dipendere anche dal sesso di un individuo.

Sopravvivenza doppia tra gli uomini

Il dato emerge da una metanalisi - ovvero una revisione degli studi già pubblicati sul tema - apparsa nei giorni scorsi sulle colonne della rivista «The Lancet Oncology».

Gli autori, un gruppo di ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia, hanno passato in rassegna venti pubblicazioni che, complessivamente, avevano considerato oltre undicimila pazienti affetti da un tumore in fase avanzata: melanoma, carcinoma renale, tumore del polmone, tumori del distretto testa e collo e neoplasie uroteliali.

Al termine del trattamento con i farmaci inibitori dei checkpoint immunitari (Ipilimumab, tremelimumab, nivolumab o pembrolizumab), i risultati hanno dimostrato che il guadagno in termini di prolungamento della sopravvivenza degli uomini che ricevono immunoterapia è quasi il doppio rispetto alle donne.

La riduzione del rischio di morte dei pazienti maschi è risultata doppia rispetto a quella delle pazienti. «Sia il sesso che il genere possono potenzialmente influenzare l’intensità della riposta immunitaria - commenta Fabio Conforti, in forza all’unità di oncologia medica dei sarcomi e dei timomi e prima firma della pubblicazione -. In media le donne hanno una risposta più forte degli uomini, nei confronti di numerosi agenti patogeni. Questo spiega il fatto che le donne contraggono meno infezioni e di gravità più lieve, oltre a essere più reattive alle vaccinazioni. D’altro canto, però, l’otto per cento dei pazienti con malattia autoimmune è donna. È possibile quindi che le differenze nel sistema immunitario fra donne e uomini abbiano una funzione importante nel corso naturale delle malattie infiammatorie croniche, come il cancro, e nella loro riposta ai farmaci».

Gli inibitori di checkpoint immunitari hanno rivoluzionato la cura del cancro

Gli autori aggiungono che è ben documentata una differenza nel sistema immunitario, legata al sesso, anche a livello cellulare, come risultato di interazioni complesse fra i geni, gli ormoni, l’ambiente e la composizione del microbioma (l’insieme dei genomi delle specie batteriche che abitano nell’intestino).

«Malgrado l’evidenza del potenziale ruolo del sesso nell’influenzare il meccanismo d’azione di un farmaco, gli studi clinici che sperimentano nuove terapie solo raramente ne tengono conto. Gli inibitori di checkpoint immunitari hanno rivoluzionato la cura del cancro, mostrando un’efficacia superiore alle terapie standard per molti tipi di tumore.

Al fine di sviluppare nuovi approcci che utilizzano immunoterapie sempre più efficaci, le differenze di sesso dovrebbero essere studiate più profondamente. Il messaggio principale del nostro lavoro, non è certamente quello di dire che gli attuali trattamenti, compresi quelli immunoterapici, dovrebbero essere modificati sulla base di questi dati, ma che dobbiamo capire meglio i meccanismi alla base delle differenze maschi-femmine per assicurarci che queste cure innovative siamo ottimizzate per tutti, donne e uomini».

Donne ancora poco rappresentate negli studi clinici

«Va sottolineato che le donne sono sottorappresentate in tutti gli studi clinici - conclude Aron Goldhirsch, direttore della divisione melanome, sarcomi e tumori rari dell’Ieo -. È ovvio dunque che il singolo studio non ha la potenza statistica adeguata nel dimostrare una correlazione fra sesso ed efficacia del trattamento. Quindi i nostri risultati sottolineano il bisogno di analisi specifiche per sesso, per evitare di estendere alle donne risultati ottenuti principalmente in pazienti maschi. Un errore che potrebbe portare a una qualità di cura inferiore, e potenzialmente un danno».

Twitter @fabioditodaro

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