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Un lieve, ma percettibile, miglioramento. Anche se ancora con troppe differenze all’interno dello Stivale: con il Mezzogiorno penalizzato da un’offerta ridotta, cui segue un’adesione inevitabilmente inferiore rispetto al resto d’Italia. È questa la fotografia che emerge dal rapporto sugli screening oncologici in Italia nel 2018. Nell’anno preso in esame lo strumento, garantito dal Servizio sanitario nazionale all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza (Le), è risultato più diffuso su tutto il territorio nazionale. Ne deriva che è cresciuta la quota di italiani che possono aver beneficiato della possibilità di scovare in anticipo uno dei tre tumori «monitorati» con la diagnostica oncologica di popolazione: quello al seno (tramite la mammografia), quello al colon-retto (mediante la ricerca del sangue occulto nelle feci) e quello della cervice uterina (con l’Hpv-test o il Pap test). Detto ciò, per realizzare l’auspicio di una copertura pressoché totale della popolazione avente diritto, occorrerà attendere diversi anni.

Screening oncologici in miglioramento

Il documento, redatto dall’Osservatorio Nazionale Screening coordinato fino a pochi giorni fa da Marco Zappa, contiene una serie di dati interessanti. Lo scenario che ne viene fuori è un chiaroscuro. A far ben sperare è l'aumento dei numeri assoluti, considerando i tre screening attivi e tutte le fasce di età: più di 14 milioni gli inviti recapitati (350mila in più rispetto al 3017) e oltre 6,3 milioni le indagini effettuate (+50mila nel confronto con l’anno precedente). Cifre che segnalano un trend di graduale crescita, che ha permesso a quasi 9 donne su 10 aventi diritto di sottoporsi alla mammografia o allo screening per il tumore della cervice uterina e a poco meno di 8 italiani su 10 (uomini inclusi) di effettuare la ricerca del sangue occulto nelle feci per la diagnosi precoce del tumore del colon-retto. Quest’ultimo, nello specifico, è stato l’unico esame che ha fatto registrare un aumento nel tasso di adesione da parte della popolazione (da40.8 a 42.3 per cento). In leggero calo, invece, lo stesso dato riguardante le indagini riservate alla popolazione femminile. Ma se il dato relativo allo screening del tumore del collo dell’utero ha quasi certamente risentito del progressivo aggiornamento della metodica diagnostica (dal Pap test all'Hpv-test, con un intervallo più ampio dei controlli: dai 3 ai 5 anni), preoccupa di più il calo registrato nella risposta delle donne all’invito a sottoporsi alla mammografia.

Preoccupa il divario tra il Nord e il Sud del Paese

Al di là dell’esame in questione, però, il rapporto conferma come l’Italia sia divisa (almeno) in due, per quel che riguarda l’offerta e l’adesione alle campagne di screening oncologico. Entrambi i parametri fanno registrare infatti un gradiente da Nord a Sud del Paese, con divari superiori a venti punti percentuali. Segno che sì, i programmi organizzati riescono a attenuare le differenze di accesso ai servizi preventivi che spontaneamente si determinano. Ma dove il ricorso ai servizi sanitari è inferiore, gli screening oncologici sono meno diffusi. Nel caso specifico del Mezzogiorno, nel 2018, è calata l’estensione sia dello screening per il tumore del colon-retto sia di quello per il cancro della cervice uterina. «Probabilmente gioca un ruolo rilevante una diffusa sfiducia nella struttura pubblica - spiega Marco Zappa, che da poche settimane ha concluso il suo mandato alla guida dell’Osservatorio Nazionale Screening -. Anche quando questa si attiva, non riesce a convincere i propri assistiti. Per superare questa situazione, occorre investire sulla qualità del servizio e uniformando la comunicazione, per favorire un aumento dell'adesione».

L’impatto del Covid sugli screening oncologici

Il rapporto è uscito con qualche settimana di ritardo anche per via della pandemia di Covid-19 che ne ha rallentato la stesura. Al di là questo, però, a colpire è la netta cesura tra le riflessioni contenute in questo documento e quello che è stato l’impatto dell’emergenza sanitaria sulla diagnostica oncologica di popolazione. Nei primi cinque mesi dell’anno, infatti, sono stati effettuati oltre un milione di esami in meno rispetto allo stesso periodo del 2019, per un potenziale incremento delle diagnosi di cancro prossimo alle cinquemila unità. A tracciare la stima è stato sempre l’Osservatorio Nazionale Screening, in un altro rapporto che ha quantificato i ritardi accumulati nella diagnosi oncologica di popolazione nei primi mesi del 2020. Il «black-out» ha determinato conseguenze preoccupanti. A «sfuggire» potrebbero essere state infatti oltre duemila diagnosi di tumore al seno, quasi 1.700 alla cervice uterina e poco più di 600 cancri del colon-retto. Lo scenario diverrà più chiaro nei prossimi mesi, ma nel frattempo gli epidemiologi invitano ad abbassare la testa e a pedalare, per recuperare il tempo perduto.

Twitter @fabioditodaro

Un lieve, ma percettibile, miglioramento. Anche se ancora con troppe differenze all’interno dello Stivale: con il Mezzogiorno penalizzato da un’offerta ridotta, cui segue un’adesione inevitabilmente inferiore rispetto al resto d’Italia. È questa la fotografia che emerge dal rapporto sugli screening oncologici in Italia nel 2018. Nell’anno preso in esame lo strumento, garantito dal Servizio sanitario nazionale all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza (Le), è risultato più diffuso su tutto il territorio nazionale. Ne deriva che è cresciuta la quota di italiani che possono aver beneficiato della possibilità di scovare in anticipo uno dei tre tumori «monitorati» con la diagnostica oncologica di popolazione: quello al seno (tramite la mammografia), quello al colon-retto (mediante la ricerca del sangue occulto nelle feci) e quello della cervice uterina (con l’Hpv-test o il Pap test). Detto ciò, per realizzare l’auspicio di una copertura pressoché totale della popolazione avente diritto, occorrerà attendere diversi anni.

Screening oncologici in miglioramento

Il documento, redatto dall’Osservatorio Nazionale Screening coordinato fino a pochi giorni fa da Marco Zappa, contiene una serie di dati interessanti. Lo scenario che ne viene fuori è un chiaroscuro. A far ben sperare è l'aumento dei numeri assoluti, considerando i tre screening attivi e tutte le fasce di età: più di 14 milioni gli inviti recapitati (350mila in più rispetto al 3017) e oltre 6,3 milioni le indagini effettuate (+50mila nel confronto con l’anno precedente). Cifre che segnalano un trend di graduale crescita, che ha permesso a quasi 9 donne su 10 aventi diritto di sottoporsi alla mammografia o allo screening per il tumore della cervice uterina e a poco meno di 8 italiani su 10 (uomini inclusi) di effettuare la ricerca del sangue occulto nelle feci per la diagnosi precoce del tumore del colon-retto. Quest’ultimo, nello specifico, è stato l’unico esame che ha fatto registrare un aumento nel tasso di adesione da parte della popolazione (da40.8 a 42.3 per cento). In leggero calo, invece, lo stesso dato riguardante le indagini riservate alla popolazione femminile. Ma se il dato relativo allo screening del tumore del collo dell’utero ha quasi certamente risentito del progressivo aggiornamento della metodica diagnostica (dal Pap test all'Hpv-test, con un intervallo più ampio dei controlli: dai 3 ai 5 anni), preoccupa di più il calo registrato nella risposta delle donne all’invito a sottoporsi alla mammografia.

Preoccupa il divario tra il Nord e il Sud del Paese

Al di là dell’esame in questione, però, il rapporto conferma come l’Italia sia divisa (almeno) in due, per quel che riguarda l’offerta e l’adesione alle campagne di screening oncologico. Entrambi i parametri fanno registrare infatti un gradiente da Nord a Sud del Paese, con divari superiori a venti punti percentuali. Segno che sì, i programmi organizzati riescono a attenuare le differenze di accesso ai servizi preventivi che spontaneamente si determinano. Ma dove il ricorso ai servizi sanitari è inferiore, gli screening oncologici sono meno diffusi. Nel caso specifico del Mezzogiorno, nel 2018, è calata l’estensione sia dello screening per il tumore del colon-retto sia di quello per il cancro della cervice uterina. «Probabilmente gioca un ruolo rilevante una diffusa sfiducia nella struttura pubblica - spiega Marco Zappa, che da poche settimane ha concluso il suo mandato alla guida dell’Osservatorio Nazionale Screening -. Anche quando questa si attiva, non riesce a convincere i propri assistiti. Per superare questa situazione, occorre investire sulla qualità del servizio e uniformando la comunicazione, per favorire un aumento dell'adesione».

L’impatto del Covid sugli screening oncologici

Il rapporto è uscito con qualche settimana di ritardo anche per via della pandemia di Covid-19 che ne ha rallentato la stesura. Al di là questo, però, a colpire è la netta cesura tra le riflessioni contenute in questo documento e quello che è stato l’impatto dell’emergenza sanitaria sulla diagnostica oncologica di popolazione. Nei primi cinque mesi dell’anno, infatti, sono stati effettuati oltre un milione di esami in meno rispetto allo stesso periodo del 2019, per un potenziale incremento delle diagnosi di cancro prossimo alle cinquemila unità. A tracciare la stima è stato sempre l’Osservatorio Nazionale Screening, in un altro rapporto che ha quantificato i ritardi accumulati nella diagnosi oncologica di popolazione nei primi mesi del 2020. Il «black-out» ha determinato conseguenze preoccupanti. A «sfuggire» potrebbero essere state infatti oltre duemila diagnosi di tumore al seno, quasi 1.700 alla cervice uterina e poco più di 600 cancri del colon-retto. Lo scenario diverrà più chiaro nei prossimi mesi, ma nel frattempo gli epidemiologi invitano ad abbassare la testa e a pedalare, per recuperare il tempo perduto.

Twitter @fabioditodaro