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Per la maggior parte degli italiani le vacanze sono ormai terminate e ognuno, volente e nolente, si è rimesso all’opera e si confronta con i propri impegni lavorativi.

L’orario di lavoro è per moltissime persone un vero e proprio problema che può rendere difficile anche amare quello che si fa, perché l’impiego non lascia lo spazio desiderato per i propri interessi e impegni di famiglia e non di rado crea problemi di salute. In particolare i lavoratori su turni tendono a lamentare problemi di salute quali insonnia, disturbi digestivi, neuropsichici e metabolici.

Lavorare su turni non è solo un’esigenza per chi opera nella sanità, negli aeroporti, nei grandi centri commerciali che ormai aprono al pubblico 7 giorni su 7 e che sfiorano l’h 24, ma a volte anche una scelta dettata dalla speranza di avere mezza giornata libera da dedicare alla famiglia. Una possibilità che nel concreto non sempre si realizza per l’impossibilità di scambiare i turni se sopraggiunge un impegno inatteso, perché il personale è talmente incastrato dai turni di lavoro stesso che liberarsi è tutt’altro che facile.

«Definire in linea teorica quale potrebbe essere l’orario di lavoro migliore in assoluto è molto difficile, poiché definirlo dipende da molteplici fattori di carattere fisiologico-patologico come per esempio il ciclo sonno-veglia, il livello di vigilanza e di performance, ma anche di tipo psicologico, sociale e ambientale. Tutti questi fattori si intersecano e influenzano vicendevolmente e in maniera diversa nei diversi lavoratori in relazione all’età, al genere, alla situazione familiare, alle condizioni socio-economiche, abitative, ai tempi di pendolarismo, organizzazione degli orari sia di lavoro sia dei servizi sociali (ad es. trasporti, scuole, uffici)» spiega Giovanni Costa, Ordinario di Medicina del lavoro in quiescenza, dell’Università di Milano.

Esiste un orario di lavoro ottimale?

Per moltissimi lavoratori il lavoro consiste di 40 ore settimanali distribuite su 5 giorni settimanali dalle 9 alle 17. Un esperimento condotto in Finlandia, tuttavia, ha provato a vedere cosa succede riducendo l’orario di lavoro da 8 a 6 ore al giorno.

I dipendenti si sono rivelati felici della soluzione: è stata riscontrata una maggiore soddisfazione a fronte di un uguale o superiore rendimento lavorativo. L’esperimento, però, è stato giudicato come antieconomico per il datore di lavoro.

«È chiaro che, in linea generale, un periodo di lavoro più breve, un’organizzazione più flessibile, con tempi di riposo adeguati e carichi di lavoro accettabili, sono condizioni ideali cui ambire, ma che è difficile perseguire in molte situazioni – spiega ancora il professor Costa- è pertanto estremamente difficile dare delle indicazioni circa un “orario ottimale” a carattere generale in quanto le possibile soluzioni vanno individuate in relazione alle diverse situazioni e relativa contestualizzazione: un conto, per esempio, è il lavoro a giornata e un’altra è il lavoro a turni, soprattutto quello che coinvolge anche il lavoro notturno. L’argomento è estremamente complesso e da molti anni vi è un’ampia e articolata discussione in vari ambiti da quello medico, a quello psicologico, sociologico, economico-produttivo, con varie argomentazioni e proposte nelle diverse prospettive».

Oltre all’orario di lavoro per così dire canonico, sono molte le persone che non staccano mai la spina dall’ufficio: «Con l’avvento della digitalizzazione, il lavoro si è dissociato dagli orari - spiega Antonio Maturo, docente di Sociologia della salute presso l’Università di Bologna e la Brown University (USA) - Si ricevono e si risponde alle mail ad ogni ora e in ogni posto. Il lavoro e lo svago si compenetrano e diventano weisure (work and leisure). E per rendere gli impiegati più produttivi si promuove la gamification, ovvero si rendono ludiche certe pratiche lavorative altrimenti noiose. Questo atteggiamento non è distante dal cosiddetto bleisure (business + leisure). Con questo neologismo si indica la tendenza a cercare svaghi durante i viaggi di lavoro, interstizi di divertimento. La cosa certa è che la demarcazione tra attività lavorativa e tempo libero che hanno scandito i ritmi di vita delle generazioni passate davvero non ci sono più, almeno nel caso dei lavori più qualificati».

Qual è l’impatto dell’orario di lavoro sulla salute?

I maggiori problemi di salute si riscontrano generalmente per i lavoratori su turni come ci aiuta a comprendere ancora una volta il professor Costa:«Il lavoro a orari irregolari, in particolare a turni e notturno, causa una desincronizzazione dei ritmi biologici circadiani e delle attività sociali con riflessi negativi sulla performance lavorativa, sulla salute e sulle relazioni familiari e sociali. Sulla salute sono rilevabili degli effetti a breve e lungo termine. Sul breve termine sono riscontrabili disturbi del sonno, sindrome del jet lag, errori e infortuni. Sul lungo termine, invece, tendono ad aumentare l’incidenza delle patologie digestive, metaboliche, neuropsichiche, cardiovascolari, della funzione riproduttiva femminile e, probabilmente, tumori. L’entità di tali effetti dipende dalla contemporanea influenza di numerosi fattori che interessano sia la sfera individuale sia il contesto lavorativo e sociale».