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Chi è impegnato in prima linea nella gestione di questa pandemia può avere bisogno di aiuto e non sempre ha la lucidità di elaborare tale richiesta di supporto. Un accorato appello sull’importanza di sostenere psicologicamente quanti in questi giorni e nei prossimi mesi, continueranno ad essere in prima linea arriva da Sharon Vitarisi Psicologa, Terapeuta EMDR e membro dell’associazione EDA ITALIA Onlus che vive e lavora nell’area di Bergamo.

L’importanza di dare supporto agli operatori sanitari è un dato di fatto: sono ben 189 i progetti e le iniziative che l'Associazione EMDR Italia ha reso operativi per la gestione di Covid-19. L’Associazione riunisce solo psicoterapeuti che si occupano principalmente di stress traumatico e di interventi specialistici con il metodo EMDR verso vittime di traumi psicologici.

L’Associazione ha siglato vari accordi di collaborazione e protocolli d’intesa per fornire psico-educazione, sensibilizzazione, informazione e supporto psicologico in emergenza e in crisi rivolto sia alla popolazione che agli operatori sanitari. Per documentare quanto è alta l’attenzione su questo tema basti pensare anche al progetto Mind-VR, di supporto psicologico selezionato nell'ambito della seconda edizione dell'Università del Crowdfunding, il programma di finanza alternativa dell'Università di Milano-Bicocca. Il contenuto creato da “Mind-VR” sarà costituito da uno scenario virtuale (ad esempio, una sala) all'interno del quale la persona troverà del materiale interattivo utile per imparare a riconoscere i sintomi e le principali cause del disturbo post-traumatico da stress e di altri disturbi d’ansia e in cui riceverà consigli per apprendere alcuni esercizi utili per alleviare l’ansia (ad esempio, tecniche di rilassamento).

La realtà virtuale rappresenta infatti uno strumento interattivo molto utile per programmi psicoeducativi, ossia interventi finalizzati a dare informazioni in modo chiaro ed articolato, al fine di rendere il paziente più competente e consapevole del suo problema, in un’ottica di empowerment individuale. I contenuti saranno resi disponibili in forma gratuita, su specifiche piattaforme di condivisione, per essere utilizzati da esperti della salute mentale. Saranno prodotti manuali di utilizzo dei contenuti differenziati sul target dei pazienti coinvolti.

Dottoressa Sharon Vitarisi lei opera nell’area di Bergamo: che cosa ha significato essere un operatore sanitario in questo territorio in questo frangente?

«Sono tempi difficili questi, soprattutto per chi come me, abita nella provincia più colpita dalla pandemia, Bergamo. Medici e operatori sanitari sono impegnati da fine febbraio nel contrastare la pandemia da Covid-19. Io, come tanti altri colleghi e psicologi dell'emergenza, abbiamo cercato di attivare degli interventi a distanza per "aiutare chi ci aiuta". Permettere al personale medico e paramedico di avere assistenza e sostegno durante e dopo questo periodo stressante diviene fondamentale per evitare lo svilupparsi di successivi disturbi psicologici post-traumatici. Come riferito da alcuni medici e infermieri che hanno chiesto il mio aiuto, le scene di dolore e lo stress ai quali sono sottoposti dall'inizio della pandemia hanno un impatto emotivo e fisico molto forte su tutti gli operatori sanitari».

Il lavoro svolto quotidianamente come si ripercuote sulla salute mentale degli operatori sanitari?

«Abbiamo già ascoltato, purtroppo, sui mezzi di informazione notizie di suicidi tra il personale sanitario. Il trauma vicario ovvero l’alta esposizione a situazioni che riguardano morte, sofferenza e dolore emotivo e fisico di altre persone nel contesto di cura e di aiuto ai quali sono costantemente esposti ha sicuramente delle conseguenze sul funzionamento mentale. Tutto questo ha bisogno di essere portato a galla ecco perché è così importante invitare queste persone a parlarne, indirizzare e sensibilizzare a chiedere una mano. Esistono diverse associazioni in emergenza che si sono attivate in questo senso per dare sostegno. Anche io ho attivato nel poliambulatorio dove lavoro, tramite l'associazione EMDR Italia, uno sportello per i colleghi medici e operatori sanitari che sentono la necessità di avere supporto specialistico. Ovviamente le difficoltà che anche noi psicologi e psicoterapeuti incontriamo sono molte».

Gli operatori sanitari che vi hanno chiamato per ricevere supporto sono numerosi?

«Nel mio sportello e sentendo anche i dati provenienti da altri colleghi, sono pochi, attualmente, gli operatori che accedono a tale supporto. Ogni professionista si impegna ad effettuare una raccolta accurata dei dati, ogni intervento viene poi ridiscusso e si effettua un conteggio degli operatori sanitari che accedono al servizio. Tra qualche mese avremo dei dati più certi, ma nella prima fase di emergenza è meno probabile che l’operatore acceda al servizio spontaneamente».

Perché c’è riluttanza a chiedere un supporto psicologico?

«Da un lato c'è una fase che noi terapeuti chiamiamo "fase di attivazione" o fase d’azione. Durante un'emergenza la mente si struttura in modo tale da fronteggiare la situazione in modo efficace, distaccandosi in modo funzionale dalle emozioni dolorose. Il corpo si carica, la mente rimane concentrata sul compito, soprattutto quando dalla corretta esecuzione del compito dipende la propria vita o quella di qualcun altro. In questa fase l'intervento psicologico rimane solo di ascolto, pochi accedono al sostegno anche perché hanno veramente pochissimo tempo per fermarsi e pensare a se stessi. L’esposizione indiretta a un trauma altrui come quello che gli operatori sanitari vivono in questa emergenza, può portare un cambiamento delle convinzioni del soccorritore rispetto al proprio lavoro e alla realtà che lo circorda. Più si lavora e maggiori sono le probabilità che l’operatore stesso possa diventare una vittima di 1°livello, cioè, anch’esso ricoverato o in pericolo di vita. Questo spiega l’importanza dell’intervento psicologico e psicoterapico in un contesto emergenziale come quello che stiamo vivendo e che deve essere fatto da professionisti preparati, formati e supervisionati costantemente».

A livello psicologico è più delicata la fase operativa, o quella durante la quale si ritorna a ritmi più “normali”?

«Turni lunghissimi, stanchezza fisica: in queste condizioni la mente si protegge e continua a funzionare in modo tale da fronteggiare, attaccare, fuggire, sperare. Nella fase successiva, quella nella quale attualmente ci troviamo nella bergamasca, la mente inizia una fase chiamata di decompressione. I turni ritornano a essere meno pesanti, si ha un giorno di riposo, del tempo libero oltre il lavoro, forse si è finiti in quarantena perché esposti al virus. Tutto rallenta, ci si ferma e la mente che prima funzionava in modo diverso, abbassa i suoi sistemi difensivi. Ecco che possono comparire disturbi come sonno frammentato, immagini dolorose, suoni familiari che vanno ad assumere una connotazione spaventante, emozioni incontrollate, iniziano ad abitare la mente e il corpo».

L’operatore deve prendere coscienza che ha bisogno di aiuto e quindi va sensibilizzato in questo senso?

«Sicuramente serve una presa di coscienza dell’importanza di un intervento psicologico, individuale o in gruppo. L’associazione alla quale afferisco con i suoi progetti rende disponibile un primo colloquio telefonico o in videochiamata in emergenza, si seguono delle linee guida ben precise per tale intervento. Ci si presenta e si seguono dei passaggi strutturati per raccogliere delle informazioni specifiche e dare da subito strumenti utili all’operatore. Non è solo un ascolto attivo, ma un intervento strutturato».

Può spiegare come viene strutturato l’intervento nello specifico?

«A volte, l’intervento viene fatto in gruppi di 3-4 persone, gruppi di debriefing psicologico in questo caso online, e si utilizza un protocollo specifico che aiuta il personale sanitario a incrementare il proprio senso di autoefficacia e iniziare lo scioglimento del materiale post-traumatico depositato nella propria mente. Successivamente, se il caso lo richiede, si può consigliare alla persona un supporto all’interno di un setting psicologico standard. Queste informazioni sono importanti, utili e possono essere d’aiuto all’operatore e al medico per iniziare a chiedere una mano rispetto alle difficoltà psicologiche».

Quali sono i benefici più tangibili per chi si sottopone a un intervento di questo tipo?

«Alla fine di ogni seduta con un operatore sanitario o, più in generale con un paziente che richiede un supporto psicologico, il paziente tende ad acquistare una maggiore consapevolezza delle proprie risorse ovvero impara a conoscere le proprie qualità interne, a capire l’importanza della rete di colleghi o di parenti di sostegno. Uno degli obiettivi del percorso di supporto è quello di aiutare il paziente a concentrasi su quello che si ha, ciò che si è, e ciò che si può fare per sé stesso e gli altri diviene più chiaro. C’è molta autenticità ed emozione in questo percorso condotto da terapeuta e paziente. Presto avremo anche dei dati più standardizzati e meno qualitativi che possono, attraverso dei questionari di valutazione, darci uno sguardo più ampio e oggettivo sugli effetti positivi degli interventi durante la pandemia».

Quali sono le problematiche che si possono palesare per gli operatori che non riescono a prendere coscienza del bisogno di supporto psicologico?

«Il Disturbo da Stress Post-Traumatico è quella patologia che può emergere dopo l’esposizione a situazioni traumatiche o catastrofiche. Dopo l’esposizione a questi eventi stressanti che mettono a rischio la propria vita o quella di altre persone, subentrano alcuni sintomi che il DSM-5, il manuale diagnostico dei disturbi mentali, spiega nel dettaglio e che riguardano ansia eccessiva, paura incontrollata, evitamento progressivo di tutte quelle situazioni che possono in qualche modo riattivare o ricordare l’esperienza traumatica in sè, disturbi dell’umore, disturbi del sonno. Possono emergere immagini intrusive, flashback, incubi riconducibili al PTSD».

Ci sono delle fasce di età più vulnerabili?

«E’ difficile fare una generalizzazione. L’elaborazione di un’esperienza come quella che stiamo vivendo dipende da diversi fattori, dalla propria storia personale, da quanto il Covid abbia impattato sulla propria esperienza lavorativa, dall’esposizione al virus e alla quarantena e alla rete di persone che supporta l’operatore. Ad oggi, le varie associazioni e gli enti di ricerca stanno raccogliendo i dati degli interventi in emergenza e dei vari questionari di valutazione quantitativa e qualitativa sull’emergenza Covid-19 ancora attiva. Personalmente, mi è capitato di dare supporto dall’infermiera appena laureata di 24 anni che è stata da subito attivata in un reparto Covid-19, allo specializzando medico anestesista di 30 anni che lavora in rianimazione, all’Operatore Socio Sanitario in una RSA di mezza età».

Chi è impegnato in prima linea nella gestione di questa pandemia può avere bisogno di aiuto e non sempre ha la lucidità di elaborare tale richiesta di supporto. Un accorato appello sull’importanza di sostenere psicologicamente quanti in questi giorni e nei prossimi mesi, continueranno ad essere in prima linea arriva da Sharon Vitarisi Psicologa, Terapeuta EMDR e membro dell’associazione EDA ITALIA Onlus che vive e lavora nell’area di Bergamo.

L’importanza di dare supporto agli operatori sanitari è un dato di fatto: sono ben 189 i progetti e le iniziative che l'Associazione EMDR Italia ha reso operativi per la gestione di Covid-19. L’Associazione riunisce solo psicoterapeuti che si occupano principalmente di stress traumatico e di interventi specialistici con il metodo EMDR verso vittime di traumi psicologici.

L’Associazione ha siglato vari accordi di collaborazione e protocolli d’intesa per fornire psico-educazione, sensibilizzazione, informazione e supporto psicologico in emergenza e in crisi rivolto sia alla popolazione che agli operatori sanitari. Per documentare quanto è alta l’attenzione su questo tema basti pensare anche al progetto Mind-VR, di supporto psicologico selezionato nell'ambito della seconda edizione dell'Università del Crowdfunding, il programma di finanza alternativa dell'Università di Milano-Bicocca. Il contenuto creato da “Mind-VR” sarà costituito da uno scenario virtuale (ad esempio, una sala) all'interno del quale la persona troverà del materiale interattivo utile per imparare a riconoscere i sintomi e le principali cause del disturbo post-traumatico da stress e di altri disturbi d’ansia e in cui riceverà consigli per apprendere alcuni esercizi utili per alleviare l’ansia (ad esempio, tecniche di rilassamento).

La realtà virtuale rappresenta infatti uno strumento interattivo molto utile per programmi psicoeducativi, ossia interventi finalizzati a dare informazioni in modo chiaro ed articolato, al fine di rendere il paziente più competente e consapevole del suo problema, in un’ottica di empowerment individuale. I contenuti saranno resi disponibili in forma gratuita, su specifiche piattaforme di condivisione, per essere utilizzati da esperti della salute mentale. Saranno prodotti manuali di utilizzo dei contenuti differenziati sul target dei pazienti coinvolti.

Dottoressa Sharon Vitarisi lei opera nell’area di Bergamo: che cosa ha significato essere un operatore sanitario in questo territorio in questo frangente?

«Sono tempi difficili questi, soprattutto per chi come me, abita nella provincia più colpita dalla pandemia, Bergamo. Medici e operatori sanitari sono impegnati da fine febbraio nel contrastare la pandemia da Covid-19. Io, come tanti altri colleghi e psicologi dell'emergenza, abbiamo cercato di attivare degli interventi a distanza per "aiutare chi ci aiuta". Permettere al personale medico e paramedico di avere assistenza e sostegno durante e dopo questo periodo stressante diviene fondamentale per evitare lo svilupparsi di successivi disturbi psicologici post-traumatici. Come riferito da alcuni medici e infermieri che hanno chiesto il mio aiuto, le scene di dolore e lo stress ai quali sono sottoposti dall'inizio della pandemia hanno un impatto emotivo e fisico molto forte su tutti gli operatori sanitari».

Il lavoro svolto quotidianamente come si ripercuote sulla salute mentale degli operatori sanitari?

«Abbiamo già ascoltato, purtroppo, sui mezzi di informazione notizie di suicidi tra il personale sanitario. Il trauma vicario ovvero l’alta esposizione a situazioni che riguardano morte, sofferenza e dolore emotivo e fisico di altre persone nel contesto di cura e di aiuto ai quali sono costantemente esposti ha sicuramente delle conseguenze sul funzionamento mentale. Tutto questo ha bisogno di essere portato a galla ecco perché è così importante invitare queste persone a parlarne, indirizzare e sensibilizzare a chiedere una mano. Esistono diverse associazioni in emergenza che si sono attivate in questo senso per dare sostegno. Anche io ho attivato nel poliambulatorio dove lavoro, tramite l'associazione EMDR Italia, uno sportello per i colleghi medici e operatori sanitari che sentono la necessità di avere supporto specialistico. Ovviamente le difficoltà che anche noi psicologi e psicoterapeuti incontriamo sono molte».

Gli operatori sanitari che vi hanno chiamato per ricevere supporto sono numerosi?

«Nel mio sportello e sentendo anche i dati provenienti da altri colleghi, sono pochi, attualmente, gli operatori che accedono a tale supporto. Ogni professionista si impegna ad effettuare una raccolta accurata dei dati, ogni intervento viene poi ridiscusso e si effettua un conteggio degli operatori sanitari che accedono al servizio. Tra qualche mese avremo dei dati più certi, ma nella prima fase di emergenza è meno probabile che l’operatore acceda al servizio spontaneamente».

Perché c’è riluttanza a chiedere un supporto psicologico?

«Da un lato c'è una fase che noi terapeuti chiamiamo "fase di attivazione" o fase d’azione. Durante un'emergenza la mente si struttura in modo tale da fronteggiare la situazione in modo efficace, distaccandosi in modo funzionale dalle emozioni dolorose. Il corpo si carica, la mente rimane concentrata sul compito, soprattutto quando dalla corretta esecuzione del compito dipende la propria vita o quella di qualcun altro. In questa fase l'intervento psicologico rimane solo di ascolto, pochi accedono al sostegno anche perché hanno veramente pochissimo tempo per fermarsi e pensare a se stessi. L’esposizione indiretta a un trauma altrui come quello che gli operatori sanitari vivono in questa emergenza, può portare un cambiamento delle convinzioni del soccorritore rispetto al proprio lavoro e alla realtà che lo circorda. Più si lavora e maggiori sono le probabilità che l’operatore stesso possa diventare una vittima di 1°livello, cioè, anch’esso ricoverato o in pericolo di vita. Questo spiega l’importanza dell’intervento psicologico e psicoterapico in un contesto emergenziale come quello che stiamo vivendo e che deve essere fatto da professionisti preparati, formati e supervisionati costantemente».

A livello psicologico è più delicata la fase operativa, o quella durante la quale si ritorna a ritmi più “normali”?

«Turni lunghissimi, stanchezza fisica: in queste condizioni la mente si protegge e continua a funzionare in modo tale da fronteggiare, attaccare, fuggire, sperare. Nella fase successiva, quella nella quale attualmente ci troviamo nella bergamasca, la mente inizia una fase chiamata di decompressione. I turni ritornano a essere meno pesanti, si ha un giorno di riposo, del tempo libero oltre il lavoro, forse si è finiti in quarantena perché esposti al virus. Tutto rallenta, ci si ferma e la mente che prima funzionava in modo diverso, abbassa i suoi sistemi difensivi. Ecco che possono comparire disturbi come sonno frammentato, immagini dolorose, suoni familiari che vanno ad assumere una connotazione spaventante, emozioni incontrollate, iniziano ad abitare la mente e il corpo».

L’operatore deve prendere coscienza che ha bisogno di aiuto e quindi va sensibilizzato in questo senso?

«Sicuramente serve una presa di coscienza dell’importanza di un intervento psicologico, individuale o in gruppo. L’associazione alla quale afferisco con i suoi progetti rende disponibile un primo colloquio telefonico o in videochiamata in emergenza, si seguono delle linee guida ben precise per tale intervento. Ci si presenta e si seguono dei passaggi strutturati per raccogliere delle informazioni specifiche e dare da subito strumenti utili all’operatore. Non è solo un ascolto attivo, ma un intervento strutturato».

Può spiegare come viene strutturato l’intervento nello specifico?

«A volte, l’intervento viene fatto in gruppi di 3-4 persone, gruppi di debriefing psicologico in questo caso online, e si utilizza un protocollo specifico che aiuta il personale sanitario a incrementare il proprio senso di autoefficacia e iniziare lo scioglimento del materiale post-traumatico depositato nella propria mente. Successivamente, se il caso lo richiede, si può consigliare alla persona un supporto all’interno di un setting psicologico standard. Queste informazioni sono importanti, utili e possono essere d’aiuto all’operatore e al medico per iniziare a chiedere una mano rispetto alle difficoltà psicologiche».

Quali sono i benefici più tangibili per chi si sottopone a un intervento di questo tipo?

«Alla fine di ogni seduta con un operatore sanitario o, più in generale con un paziente che richiede un supporto psicologico, il paziente tende ad acquistare una maggiore consapevolezza delle proprie risorse ovvero impara a conoscere le proprie qualità interne, a capire l’importanza della rete di colleghi o di parenti di sostegno. Uno degli obiettivi del percorso di supporto è quello di aiutare il paziente a concentrasi su quello che si ha, ciò che si è, e ciò che si può fare per sé stesso e gli altri diviene più chiaro. C’è molta autenticità ed emozione in questo percorso condotto da terapeuta e paziente. Presto avremo anche dei dati più standardizzati e meno qualitativi che possono, attraverso dei questionari di valutazione, darci uno sguardo più ampio e oggettivo sugli effetti positivi degli interventi durante la pandemia».

Quali sono le problematiche che si possono palesare per gli operatori che non riescono a prendere coscienza del bisogno di supporto psicologico?

«Il Disturbo da Stress Post-Traumatico è quella patologia che può emergere dopo l’esposizione a situazioni traumatiche o catastrofiche. Dopo l’esposizione a questi eventi stressanti che mettono a rischio la propria vita o quella di altre persone, subentrano alcuni sintomi che il DSM-5, il manuale diagnostico dei disturbi mentali, spiega nel dettaglio e che riguardano ansia eccessiva, paura incontrollata, evitamento progressivo di tutte quelle situazioni che possono in qualche modo riattivare o ricordare l’esperienza traumatica in sè, disturbi dell’umore, disturbi del sonno. Possono emergere immagini intrusive, flashback, incubi riconducibili al PTSD».

Ci sono delle fasce di età più vulnerabili?

«E’ difficile fare una generalizzazione. L’elaborazione di un’esperienza come quella che stiamo vivendo dipende da diversi fattori, dalla propria storia personale, da quanto il Covid abbia impattato sulla propria esperienza lavorativa, dall’esposizione al virus e alla quarantena e alla rete di persone che supporta l’operatore. Ad oggi, le varie associazioni e gli enti di ricerca stanno raccogliendo i dati degli interventi in emergenza e dei vari questionari di valutazione quantitativa e qualitativa sull’emergenza Covid-19 ancora attiva. Personalmente, mi è capitato di dare supporto dall’infermiera appena laureata di 24 anni che è stata da subito attivata in un reparto Covid-19, allo specializzando medico anestesista di 30 anni che lavora in rianimazione, all’Operatore Socio Sanitario in una RSA di mezza età».