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Manipolare il cervello per cancellare l’angoscia di un brutto ricordo. E’ lo scenario che si apre grazie a uno studio americano. Un esperimento condotto sui topi, ma definito promettente per future applicazioni sull’uomo nella terapia di depressione, ansia e stress post traumatico.

Il neuroscienziato della Boston University Steve Ramirez, autore senior del lavoro, e Brian Chen, primo autore, oggi alla Columbia University, hanno scoperto che nell’ippocampo - una piccola porzione cerebrale a forma di anacardo che immagazzina le informazioni sensoriali ed emotive di cui sono fatti i ricordi - si nasconde una sorta di ’interruttore della memoria’. Un interruttore flessibile, che cambia funzione a seconda di dove si trova.

Dopo avere identificato le cellule che partecipano alla costruzione dei ricordi, i test hanno infatti dimostrato che, stimolando artificialmente le cellule della memoria situate nella parte superiore dell’ippocampo, il trauma collegato ai cattivi ricordi si attenua; al contrario, stimolando le cellule della parte inferiore la paura che si prova richiamando alla mente memorie negative aumenta, a indicare che quest’area potrebbe essere iperattiva quando un ricordo diventa talmente angosciante da scatenare una malattia. Almeno in teoria, dunque, spegnere questa iperattività potrebbe aiutare a trattare patologie come il Ptsd o i disturbi d’ansia.

«Il campo della manipolazione della memoria è ancora giovane», spiega Ramirez che ha iniziato lo studio con Chen quando entrambi stavano portando avanti ricerche al Mit, Massachusetts Institute of Technology. «Sembra fantascientifico - ammette - ma questo lavoro è un’anteprima di ciò che verrà in termini di capacità di potenziare artificialmente i ricordi» di una persona «o di cancellarli».

Gli autori fanno notare che l’esperimento è avvenuto sui topi, animali con un cervello molto diverso dal nostro. Quanto eseguito sulle cavie, dunque, ancora «siamo molto lontani dall’essere in grado di farlo negli esseri umani - puntualizza Chen - Ma la dimostrazione del concetto c’è» .

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