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Una delle grandi protagoniste della ricerca sul cancro è la proteina p53, un importante oncosoppressore molto studiato per capire i meccanismi che regolano la proliferazione cellulare. Infatti, p53 rappresenta un elemento cruciale nella comprensione della fisiologia di una cellula normale e trasformata.

La p53 risulta mutata in oltre il 60% di tutti i tumori umani e, come un dottor Jekyll che diventa signor Hyde, quando è mutata non svolge più le sue funzioni di indurre l’arresto del ciclo cellulare, il riparo del danno al DNA e la morte cellulare (apoptosi). Ma lascia andare il freno: smette di tenere sotto controllo il cancro e favorisce la proliferazione delle cellule maligne e la loro resistenza ai farmaci.

CARATTERISTICHE FISICHE E MECCANICHE

Questo è quanto si osserva. Ma come ciò accade? Quali fattori alla base di tutto questo? Ebbene, finora gli scienziati si sono concentrati principalmente sulle vie di trasduzione del segnale fuori e dentro la cellula. Ma risulta sempre più chiaro che altre caratteristiche, come quelle fisiche e meccaniche, giocano un ruolo cruciale.

A svelare il ruolo delle particolari condizioni fisiche e meccaniche del tessuto tumorale è stato un gruppo di ricercatori italiani guidati da Giannino Del Sal, professore di Biologia Applicata dell’Università di Trieste e capo dell’Unità di Oncologia Molecolare del Laboratorio Nazionale CIB all’Area Science Park di Trieste. Il lavoro, parte di programma di ricerca in Oncologia Molecolare Clinica dedicato a uno dei sottotipi più aggressivi di tumore al seno, i tumori triplo-negativi, è stato sostenuto da AIRC con le donazioni del 5 per mille.

RIGIDITÀ DEI TESSUTI E p53

Dallo studio, apparso sulla rivista Nature Cell Biology, emerge un legame tra le anomalie meccaniche dei tessuti malati e l’aberrazione genetica più frequentemente riscontrata nei tumori, quella che porta alla produzione della proteina p53 mutata. I ricercatori hanno visto che la durezza, la rigidità e la forte tensione, che spesso caratterizzano i tumori più aggressivi, stabilizzano e stimolano l’attività della p53 mutata all’interno delle cellule maligne.

Le cellule tumorali, infatti, reagiscono a questo genere di anomalie meccaniche attivando una catena di segnali biochimici all’interno della cellula che potenziano la p53 mutata, bloccando il sistema responsabile della sua distruzione. La cellula tumorale, così, non riesce più a tenere sotto controllo questa pericolosa proteina che, quindi, si accumula e attiva un programma genetico in grado di stimolare la proliferazione, la resistenza alle terapie e l’invasione di altri tessuti.

MECCANICA E PROGRESSIONE TUMORALE

«I tumori sono organi malati in cui sono alterati non solo i geni, le proteine e una varietà di processi cellulari, ma dove è anche sconvolta l’organizzazione strutturale del tessuto» spiega Del Sal.

«Anche solo attraverso la palpazione, in molti tumori, è possibile percepire cambiamenti nella consistenza del tessuto e indurimenti. A causa della crescita della massa tumorale, infatti, all’interno del tessuto malato si generano deformazioni, zone di compressione e tensioni. Tutto questo può favorire ancor di più lo sviluppo e la progressione della malattia. Il problema per chi studia il cancro, quindi, è anche capire perché e in che modo questo tipo di anomalie concorra alla crescita tumorale e alla disseminazione delle metastasi, e come i loro effetti cooperino con quelli di altre aberrazioni».

I ricercatori hanno individuato un meccanismo che si auto rinforza: «Se da un lato i segnali meccanici dell’ambiente tumorale stimolano l’accumulo di p53 mutata, questa a sua volta è in grado di rafforzare la risposta della cellula agli stessi segnali attraverso la riprogrammazione del metabolismo cellulare del colesterolo».

LEGAME TRA ALTERAZIONI METABOLICHE E RIGIDITÀ

In dettaglio, per sbrogliare una situazione così altamente complessa, i ricercatori hanno svolto varie analisi: «dalle vie molecolari attive all’interno della cellula maligna, allo stato fisico dei tessuti tumorali; inoltre abbiamo misurato l’espressione dei geni, la rigidità e la composizione della cellula tumorale e dell’ambiente circostante.

Abbiamo effettuato lo screening di centinaia di composti chimici per trovare nuove molecole capaci di far scomparire la proteina p53 mutata dalle cellule tumorali e abbiamo analizzato, da un punto di vista biochimico, l’effetto delle molecole più promettenti sui complessi di proteine coinvolti nella degradazione della p53 mutata.

Tre queste molecole c’erano anche le statine, i farmaci utilizzati contro l’ipercolesterolemia. Da lì ci siamo concentrati sulla via di sintesi del colesterolo, la stessa via metabolica che la proteina p53 mutata è in grado di attivare. Proprio alcuni prodotti intermedi di questa via si sono rivelati fondamentali per la stabilità della proteina p53 mutata e per la risposta della cellula tumorale alle condizioni fisiche dell’ambiente che la circonda.

Infine le analisi al microscopio a forza atomica ci hanno permesso di studiare la rigidità delle cellule e dei tessuti tumorali e di mettere in relazione questo parametro con la presenza della proteina p53 mutata e con l’effetto dei farmaci che inibiscono il metabolismo del colesterolo».

Proprio questo inedito legame tra alterazioni metaboliche nella via del colesterolo e rigidità dei tumori potrebbe aprire la strada a nuove soluzioni terapeutiche.

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