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Potremmo chiamarli alcolisti invisibili, sono quelli che non hanno alcun problema perché il loro è un piacere innocuo, amano bere qualche drink da soli o in compagnia. Le cose non stanno sempre così. Infatti, non occorre avere la barba lunga e l’aspetto trasandato, si può condurre una vita normale, con un lavoro e degli amici, e ugualmente avere un grosso problema con l’alcol, cui sono riconducibili 3,3 milioni di decessi nel mondo, secondo l’Oms. L’alcol è responsabile di mortalità prematura, disabilità e insorgenza di oltre 230 patologie, tra cui quelle epatiche, disturbi cardiovascolari ed alcuni tipi di cancro, che costano alla società almeno 17 milioni di anni di vita persi. Per cercare di arginare questo problema, aumentando la consapevolezza e la responsabilità individuale di ciascuno, si tiene oggi l’Alcohol Prevention Day, sostenuto e finanziato dal Ministero della Salute e svolto e promosso in stretta collaborazione con la Società Italiana di Alcologia, l’Associazione Italiana dei Club degli Alcolisti in Trattamento - AICAT ed Eurocare.

UNA SOCIETÀ PLASMATA DALL’ALCOL

A differenza delle altre condotte di abuso, l’alcol appartiene alla nostra tradizione sociale e culturale. «Per questa ragione, i primi passi verso un consumo problematico e patologico vengono mossi nell’inconsapevolezza del soggetto, le cui abitudini del bere sono spesso guardate con indulgenza, quando non caldeggiate e condivise» spiega la dottoressa Mariagrazia Movalli, responsabile dell’Unità funzionale di alcologia del Dipartimento di Neuroscienze Cliniche dell’Ospedale San Raffaele. L’instaurarsi o meno di una condotta d’abuso dipenderà dalla predisposizione individuale e da fattori concomitanti.

LA VIA VERSO LA PATOLOGIA

«Inizialmente l’individuo predisposto può provare semplicemente piacere (diversamente dal soggetto che prova reazioni spiacevoli già alle prime bevute e con buone probabilità diventerà un astemio), e si determinano delle modificazioni transitorie del funzionamento cerebrale che rinforzano nel soggetto la voglia di replicare l’esperienza positiva e piacevole del bere. Così, se l’ambiente è favorente, si può strutturare gradualmente un’abitudine» ci spiega la dottoressa Movalli. Infatti, un effetto comune all’assunzione di tutte le sostanze d’abuso è la modulazione del circuito cerebrale della gratificazione, caratterizzato dalla risposta dopaminergica a livello del nucleo accumbens . L’attivazione di questo circuito ha proprietà motivazionali e incentivanti la ricerca dell’effetto. Ma alcol ha anche una peculiarità, ed è «la riduzione della capacità critica circa il proprio stato psichico che contribuisce a sottovalutare il problema e a non comprenderlo del tutto. Sono i primi passi di una storia che può configurare un Disturbo da uso di alcol » (Il DSM-5, infatti, non separa più l’abuso e la dipendenza da sostanze, ma le unisce nell’unico “disturbo da uso di sostanze” più o meno grave).

ATTENZIONE AI CAMPANELLI D’ALLARME

Non lo ammetterà neppure a sé stesso, ma chi non ha un rapporto sano con l’alcol può percepirlo e inizierà a porsi delle domande, che spesso scaturiscono dall’osservazione di sé. E quando ciò non dovesse accadere, saranno comunque gli esami del sangue, alcuni disturbi oppure le persone vicine a segnalare l’esistenza di un problema. «Il soggetto può iniziare a sentirsi in colpa e provare un senso di vergogna per la sua impotenza nel controllare le bevute e le conseguenze di stati di ebbrezza, percepita come moralmente inaccettabile» spiega la Movalli che è anche specialista in psicologia clinica. Altre caratteristiche aiutano ad identificare la persona a rischio. Possono comparire black out di memoria, una progressiva tolleranza all’alcol, tanto che ci si accorge di reggere bene e di non ubriacarsi mai. L’organismo sviluppa dei meccanismi di adattamento alla sostanza tossica, per esempio cambiamenti del metabolismo per cui l’effetto ad una stessa dose di alcol è inferiore a prima e dura meno. Possono comparire segnali di astinenza a causa della progressiva diminuzione del livello alcolemico nel sangue, come ad esempio stati ansiosi, cattivo umore, sudorazione, tachicardia, lieve tremore. Spesso questi sintomi si riducono al primo bicchiere; questo porta all’instaurarsi di un’alternanza di fasi di abuso e di momenti in cui il soggetto è in grado di mantenere un funzionamento adeguato, come nelle ore lavorative.

LE DIPENDENZE MULTIPLE

In attesa del primo bicchiere, il soggetto può anche imparare a ricorrere ad ansiolitici per sedare l’ansia e i primi sintomi d’astinenza. Compare l’inizio di un fenomeno sempre più diffuso, quello del poli-abuso o della dipendenza da sostanze multiple con un consumo patologico di sostanze con effetti analoghi o opposti, come ad esempio l’alcol e la cocaina. «Dopo le abbuffate alcoliche, la cocaina restituisce l’impressione della lucidità e dell’equilibrio motorio, dando al soggetto l’illusione del controllo e arricchendo di fatto l’esperienza del piacere».

Un altro caso diffuso è quello dei ludopatici, a rischio di alcolismo perché il bere consente loro di aggirare la consapevolezza che giocare è sbagliato «ma questa forse è la volta buona». Oltre al gioco, analoghi meccanismi riguardano altri comportamenti di dipendenza, come verso i videogiochi o il lavoro.

NATI PER SVILUPPARE DIPENDENZE?

I fattori di vulnerabilità individuali sono di natura genetica, che determinano l’assetto metabolico e neurobiologico, e ambientale, come l’esposizione precoce alla sostanza o crescere in un contesto particolarmente permissivo o disturbato. Il figlio di un alcolista ha una probabilità dalle tre alle cinque volte maggiore di sviluppare comportamenti d’abuso e condotte di dipendenza. Naturalmente non sempre la situazione evolve verso la patologia. L’instaurarsi di una dipendenza, da sostanza o da comportamento, è un meccanismo che agisce su un circuito cerebrale evolutivamente molto importante e reattivo, quello della ricompensa e del piacere, che ci porta a ricercare tutto ciò che ci piace, ovvero quanto in natura è funzionale alla nostra sopravvivenza e riproduzione. La patologia subentra con la crescente difficoltà a smettere di premere sulla leva del piacere.

LA VULNERABILITÀ RESTA PER SEMPRE

Alcolista un giorno, alcolista per sempre. Lo sanno gli alcolisti anonimi che difficilmente si definiscono «ex-alcolisti». In seguito alla riorganizzazione plastica delle connessioni neurali dovuta all’instaurarsi del comportamento d’abuso, compaiono nuovi modelli di attivazioni cerebrali che rendono difficile liberarsene. Di questo bisogna tenere conto nel trattamento, poiché è alla base della grande vulnerabilità verso le ricadute e l’instaurarsi di nuove dipendenze in coloro che hanno smesso di bere (fenomeno conosciuto come addiction transfer). Per questo si raccomanda di non bere più. «C’è chi rimane astinente per sempre, chi va incontro a ricadute e remissioni periodiche, col trattamento i periodi di remissione si allungano e sono connotati da benessere e le ricadute si attenuano». Quel che è certo è che per costoro diventare un bevitore sociale sarà estremamente difficile.

GIOVANI E BINGE DRINKING

Il binge drinking è la modalità di consumo di bevande alcoliche più diffusa tra i giovani. «Anche se non è giornaliero, si tratta di una vera e propria dipendenza, perché viene a mancare il controllo del proprio comportamento e subentra, dopo i primi bicchieri, la reazione impulsiva a bere fino ad ubriacarsi» racconta la dottoressa. Oltre agli effetti anche gravi dell’intossicazione acuta, tale comportamento è particolarmente pericoloso perché l’adolescenza è una fase critica dello sviluppo sociale e cerebrale. Per questo, spesso chi ha iniziato a bere molto giovane ha anche i disturbi più gravi. «L’alcol, che indubbiamente è un lubrificante sociale, tuttavia, in questo caso svolge la funzione di modulatore delle emozioni e il giovane tenderà a vivere molte esperienze, anche le più importanti per il futuro, sotto quest’effetto». Il risultato è un difetto cronico di alcune funzioni mentali di ragionamento e di pianificazione delle scelte e delle strategie e la parziale conoscenza di sé stesso, per non parlare dei danni che l’alcol provoca all’organismo.

CHE FARE? INTERVENIRE PRESTO PER RESTITUIRE IL CONTROLLO DI SÉ

Per intervenire in aiuto ai pazienti è necessario stabilire l’entità e la specificità del problema di ciascuno, in altre parole capire fino a che punto l’alcol ha compromesso la funzionalità e la salute mentale e fisica del soggetto. Lo specialista valuterà la situazione, compresa l’eventuale presenza di altri disturbi psichiatrici: nei casi più lievi e iniziali sarà sufficiente un buon counseling psicologico abbinato a farmaci anticraving, altrimenti, potrà esser necessario ricorrere alla disintossicazione in regime ospedaliero e a programmi di cura più intensivi e riabilitativi. «Devo capire se al mio paziente hanno ritirato la patente, se non ha più il lavoro, se ha perso del tutto il controllo della propria vita. Oppure se il suo bere è un tentativo di autocura, una reazione a difficoltà economiche, ad un lutto o una tragedia». Un esempio recente riguarda la reazione al terremoto dell’Aquila; da allora, l’abuso di alcol è cresciuto del 40%, stando agli accessi al Sert. E sono aumentati della stessa percentuale anche coloro che hanno deciso di intraprendere un percorso terapeutico. Questi possono non dover essere trattati come casi di alcolismo e la condotta di abuso può cessare al venire meno della situazione problematica.

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