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Apnee ostruttive del sonno: in futuro si potranno controllare anche con una pillola? È questa l’ipotesi avanzata da due ricercatori, convinti a battere la strada tracciata dalla combinazione di due molecole: l’atomoxetina (già in uso per il trattamento della sindrome da deficit di attenzione e iperattività, Adhd) e l’ossibutina (impiegata per alleviare disturbi vescicali e delle vie urinarie, in particolare per l’incapacità di controllare la minzione). I due principi attivi, assunti prima di andare a letto, hanno dimostrato di poter ridurre la frequenza (in media fino al 70 per cento) con cui le vie aree superiori si ostruiscono. È questo fenomeno a dare origine alle apnee notturne che, oltre a disturbare il sonno, rappresentano un fattore di rischio per la salute del cuore e del cervello .

Due farmaci per dire addio alle apnee notturne

Le conclusioni dello studio-pilota, per ora condotto su venti persone osservate nell’arco di una sola notte, sono state presentate al congresso della società europea di medicina respiratoria, tenutosi a Parigi. I ricercatori, Andrew Wellman e Luigi Taranto-Montemurro del Brigham and Women’s Hospital di Boston, hanno testato il trattamento con due farmaci da tempo in uso: e considerati pertanto affidabili, sul piano della sicurezza e della tollerabilità.

L’idea di combinarli è nata dall’effetto dei singoli principi attivi e dai risultati ottenuti in alcuni studi preclinici. L’atomoxetina è un inibitore della ricaptazione della noradrenalina, i cui livelli normalmente crollano durante il sonno. Dare un farmaco che agisce in maniera opposta rispetto a quanto accade durante il sonno potrebbe sembrare un azzardo. Ma i lavori condotti da Richard Horner, neurofisiologo del sonno dell’Università di Toronto, avevano già dimostrato che l’iniezione nei ratti stimola i muscoli delle vie aeree superiori, in modo da mantenere la gola aperta. L’altra molecola utilizzata, l’ossibutinina, s’è invece rivelata efficace nel migliorare l’azione del muscolo genioglosso durante il sonno Rem: cosa che non era stata verificata durante la sperimentazione dell’atomoxetina.

Presentando i risultati della ricerca, i due studiosi hanno potuto documentare una riduzione degli episodi di apnea, ma non del numero dei risvegli subconsci, che sono poi quelli che portano chi soffre di apnee ostruttive del sonno ad accusare sempre un senso di stanchezza durante il giorno.

Per il momento l’unica opzione rimane il «Cpap»

Sono dunque diversi i limiti dello studio: dall’esiguità del campione osservato alla parzialità dei risultati ottenuti. Occorrerà poi considerare due sottogruppi di pazienti: i cardiopatici e coloro (spesso i più anziani) che hanno già problemi con la diuresi. Come possono reagire (i primi) a uno stimolante come l’amoxetina e (i secondi) a un farmaco che rallenta le contrazioni muscolari della vescica? Per trovare risposta a queste domande avanzate da altri specialisti, i ricercatori hanno dichiarato di voler far partire a breve uno studio di fase 2, per testare la combinazione dei due farmaci su un gruppo di cento pazienti: in modo da provare a dare sostanza ai risultati già ottenuti.

L’obiettivo ultimo è arrivare a rendere disponibile una terapia alternativa al «Cpap», la «maschera» che chi soffre di apnee ostruttive del sonno deve indossare per tutta la notte. Il dispositivo, erogando una pressione positiva per tenere aperte le vie aeree superiori, evita i restringimenti della mucosa delle vie aree e favorisce un afflusso costante di ossigeno verso il cervello. Ma la tolleranza dei pazienti non è sempre massima e sono tutt’altro che infrequenti i casi di abbandono della terapia.

Nei casi più gravi di apnee ostruttiva - disturbo che colpisce circa il dieci per cento della popolazione mondiale, vale a dire almeno seicento milioni di persone - si può ricorrere all’intervento chirurgico per «liberare» le vie aree e favorire il passaggio dell’ossigeno anche durante il sonno.

Twitter @fabioditodaro