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Paese del sole, ma non estraneo alla carenza di vitamina D, che d’inverno interessa circa la metà degli italiani. La necessità di fare chiarezza su quest’ormone e sulla controversia relativa ai valori soglia che definiscono un reale deficit ha spinto un gruppo di esperti dell’ AME Associazione Medici Endocrinologi a pubblicare delle linee guida sulla gestione del deficit da vitamina D, che danno risposte anche a domande – spiega Vincenzo Toscano, Presidente AME - quali «la vitamina D è realmente una panacea? Protegge dal diabete e dal cancro? I medici devono focalizzare in maniera importante la loro attenzione sui livelli circolanti in tutta la popolazione? I preparati di Vitamina D sono tutti uguali?».

OSTEOPOROSI E RACHITISMO IN AGGUATO

La Vitamina D è un ormone strategico, svolge funzioni importanti per la salute delle ossa aiutando l’organismo ad assorbire il calcio, uno dei principali costituenti del nostro scheletro e prevenendo l’insorgenza di malattie ossee, come l’osteoporosi o il rachitismo. L’eventuale carenza di Vitamina D determina ridotta mineralizzazione ossea e viene valutata attraverso un dosaggio nel sangue. La sua interpretazione, che varia a secondo dei diversi laboratori e soprattutto dei dettami delle differenti società mediche, è questa: carenza <10 ng/mL; insufficienza: 10 – 30 ng/mL; sufficienza: 30 – 100 ng/mL; tossicità: >100 ng/mL.

LA NUOVA SOGLIA PER LA CARENZA

Livelli da rivedere perché, come spiega Roberto Cesareo, endocrinologo e primo firmatario del lavoro, la loro adozione «costituisce uno dei motivi per cui si finisce per dichiarare “carenti di Vitamina D” tanti soggetti che poi probabilmente non lo sono. Nella consensus abbiamo ritenuto più opportuno definire ridotti i valori di Vitamina D quando essi sono chiaramente al di sotto di 20 ng/dl».

Con un’eccezione: «i soggetti osteoporotici o pazienti che assumono già farmaci per la cura dell’osteoporosi o altre categorie di soggetti significativamente più a rischio di carenza di vitamina D è corretto, a nostro giudizio, che abbiano valori di Vitamina D superiore al limite di 30 ng/dl e quindi vanno trattati».

EVIDENZE SCIENTIFICHE: LA VITAMINA D NON È ELISIR DI LUNGA VITA

Nella consensus, poi, gli endocrinologi sottolineano la mancanza di evidenze scientifiche relative alle esatte dosi di vitamina D efficaci nel ridurre l’incidenza di quelle malattie associate alla sua carenza, come diabete mellito, alcune sindromi neurologiche, alcuni tipi di tumori, oltre a osteomalacia e osteoporosi.

«Riteniamo che sia giusto riportare questo dato – prosegue l’esperto - in quanto far passare il messaggio che la Vitamina D sia l’elisir di lunga vita, oltre che scorretto in quanto privo di evidenze scientifiche forti, rischia di essere oggetto di iper-prescrizione incongrua e con il rischio di assumere tale molecola senza reali benefici».

LE NOVITA’ DAL SUMMIT DI PISA

Un altro documento riguardante la vitamin D è stato pubblicato di recente sul British Journal of Clinical Pharmacology, frutto del summit che lo scorso anno ha riunito oltre 25 esperti provenienti da tutto il mondo in una tre giorni scientifica dedicata a quest’ormone a Pisa.

Il consenso raggiunto dagli esperti è che valori inferiori a 12 ng/ml riflettono una condizione sfavorevole per la salute ossea, un ridotto assorbimento del calcio, una scarsa mineralizzazione ossea e vengono associati ad un aumentato rischio di rachitismo e/o di osteomalacia; solo però quelli superiori a 20 ng/mL sono considerati sicuri e sufficienti per la salute dell’osso.

«Questo consenso è a suo modo storico in quanto per la prima volta sono state individuate soglie ideali e condivise dai più grandi esperti espressi dalla comunità scientifica per definire una condizione carenziale o di insufficienza di Vitamina D.

Questo non vuol dire che tutti i problemi in questo ambito siano risolti: infatti, se da un lato non abbiamo ancora raggiunto una standardizzazione a livello mondiale delle tecniche di misurazione, dall’altro, dagli studi clinici ci arrivano talvolta risultati contradditori spesso legati proprio alle soglie di intervento – spiega Andrea Giustina, Professore Ordinario di Endocrinologia al San Raffaele di Milano e Presidente GIOSEG – Questi due aspetti sono due facce della stessa medaglia infatti gli effetti della somministrazione di vitamina D variano molto a seconda della condizione più o meno carenziale di partenza.

La supplementazione su soggetti carenti mostra, infatti, effetti significativi, mentre su soggetti mediamente non carenti, non ci si possono attendere risultati altrettanto validi. La definizione di ipovitaminosi D a cui sono giunti gli esperti ne rappresenta un importante passo avanti per la gestione clinica sulla base di criteri condivisi a livello internazionale».

ATTENZIONE AGLI ANZIANI

Capitolo a parte meritano gli anziani, più a rischio di osteoporosi, cadute e fratture e che possono avere difficoltà a passare del tempo all’aperto per esporsi al sole. Si calcola che più del 90% degli anziani che vivono in casa di riposo ha carenze di vitamina D.

In questi soggetti, l’integrazione con vitamina D va considerata. Cosa fare per mettersi al riparo dalla carenza? Durante l’estate, esporsi alla luce del sole (bastano anche braccia e gambe), senza filtri solari (che riducono la penetrazione dei raggi solari).

La variabilità stagionale dei valori di vitamina D nel sangue è normale: essi tendono ad essere maggiori in autunno, al termine dei mesi estivi quando l’esposizione è stata più frequente, e tendono poi a diminuire nei mesi invernali. Ma se in autunno i valori sono bassi, questo può significare che le “scorte” non sono state colmate e che i valori scenderanno sotto i limiti di guardia nei mesi successivi.