Accedi
Registrati


C’è un piccolo paesino in provincia di Benevento, San Marco dei Cavoti, dove essere centenari è all’ordine del giorno. Una caratteristica che ha spinto gli scienziati del CReI, il Collegio dei Reumatologi Italiani, ad indagare il perché di questo elevato numero di ultracentenari. Anche se le ragioni sono ancora tutte da chiarire per gli esperti sarebbe questione di un perfetto mix di stili di vita e presenza di vitamina D e del gene del recettore nucleare associato ad essa (Vdr).

L’indagine, che porta il nome dell’enofora Hebe, la mitologica dea greca dispensatrice del nettare dell’eterna giovinezza, durerà circa quattro mesi. Verrà condotta su due gruppi di sammarchesi, composti da circa 150 persone ciascuno. Da una parte saranno studiati gli ultranovantenni e i loro figli con più di 60 anni, dall’altra gli ultrasessantenni che da tre generazioni non annoverano novantenni in famiglia. A tutti verrà sottoposto un questionario con domande sulle abitudini alimentari, relazionali, sulle caratteristiche socio-economiche e culturali. Infine, ai membri di entrambi i gruppi verrà prelevato un campione di sangue che sarà analizzato dai laboratori di genetica dell’Ospedale Rummo di Benevento, con l’obiettivo di conoscere il sottotipo di recettore nucleare per la vitamina D (VDR) oltre che misurare i livelli ematici di Vitamina D.

«Con questo studio, analizzeremo anche il rapporto tra le comorbilità con altre malattie dell’invecchiamento. «Ci auguriamo di confermare quanto emerso già dai lavori di altri gruppi di ricerca negli USA, europei e iraniani, ossia che la longevità è strettamente correlata al gene VDR con polimorfismo FF» spiega il dottor Stefano Stisi, presidente Crei.

«Se la ricerca confermerà che il polimorfismo del gene VDR-FF è più efficiente nei longevi, potremo fare molto di più per le malattie reumatiche dell’invecchiamento che riguardano l’apparato locomotore, come la osteoporosi o l’artrosi, e per quelle neurodegenerative come l’Alzheimer, per esempio. Studiare se quindi possiamo modificare la risposta genetica ai meccanismi di invecchiamento, grazie all’introduzione di una dose adeguata di un antiossidante come la Vitamina D, ormai considerata un ormone, potrebbe aiutarci a offrire una migliore qualità della vita ai pazienti che hanno a che fare con il dolore e a quella dei futuri anziani. Una tale ipotesi potrebbe essere di grosso aiuto per la prevenzione delle patologie degenerative dell’apparato locomotore, verso la cui cura – purtroppo - siamo fermi a 30 anni fa» conclude l’esperto.

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

vai all'articolo originale >>