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Oltre che rari, sono spesso silenziosi (in un caso su 5 mostrano sintomi specifici). Da qui le conseguenze gravi che possono avere i pazienti colpiti da un tumore neuroendocrino, due terzi dei quali arrivano a scoprire la malattia in ritardo: talora anche di sette anni. Si tratta di un gruppo di malattie rare (2.700 nuovi casi ogni anno in Italia) che nel 60 per cento dei casi si sviluppano a livello dello stomaco, dell’intestino e del pancreas. Mentre l’altra sede più frequente è rappresentata dall’apparato respiratorio: a livello dei bronchi. Aree in cui, come spiega Massimo Falconi, direttore del centro pancreas dell’ospedale San Raffaele di Milano, «la componente cellulare neuroendocrina è più diffusa».

Associazione Italiana di Oncologia Medica: "Così sono diminuiti i tumori in Italia"

Tumori neuroendocrini: di cosa si tratta?
I tumori neuroendocrini colpiscono le cellule del sistema neuroendocrino diffuso, specializzate nella produzione di ormoni e di neuropeptidi specifici. Nella maggior parte dei casi, queste neoplasie non si associano a sintomi evidenti e risultano perciò di difficile diagnosi. Crescono lentamente, motivo per cui possono rimanere silenti per anni ed essere riscontrati quando già metastatici. «Nell'80 per cento dei casi i tumori neuroendocrini sono asintomatici: la diagnosi avviene perlopiù in maniera fortuita, nel corso di accertamenti richiesti per scopi diversi», afferma Laura De Marinis, responsabile dell’unità operativa di malattie dell’ipotalamo e dell’ipofisi del policlinico Gemelli di Roma. Nell'altro 20 per cento, quando la massa tumorale ha dimensioni significative o compromette la funzionalità di specifici organi, queste forme di cancro presentano sintomi correlati all'aumentata produzione di sostanze biologicamente attive. «Per esempio, i pazienti colpiti da un insulinoma presentano crisi ipoglicemiche e svenimenti soprattutto a digiuno - spiega Carlo Carnaghi, direttore dell’unità di oncologia medica dell’ospedale provinciale di Bolzano -. Ma il più frequente tumore neuroendrocrino è la sindrome da carcinoide, associata all’eccessiva secrezione di serotonina da parte delle cellule tumorali. La malattia si manifesta con un’ampia gamma di sintomi: diarrea, vampate di calore al volto e al collo, broncospasmo, scompenso cardiaco, eccessiva sudorazione, perdita di peso e comparsa di lesioni cutanee».

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nicla panciera

Diverse le opzioni terapeutiche
La diagnosi e la terapia di questi tumori richiedono un approccio integrato che include le competenze di diverse figure professionali: il gastroenterologo, l’oncologo, l’endocrinologo, l’internista, il patologo, il radiologo, il medico nucleare, il chirurgo, il radioterapista. Una questione che oggi viene ribadita ormai quasi in tutti i casi, in ambito oncologico. Ma che risulta ancora più vera quando si è alle prese con un tumore raro. Ecco perché il principale problema di un paziente colpito da una neoplasia neuroendocrina è la scelta della struttura a cui affidarsi. Le lacune nell’assistenza possono pregiudicare l’esito delle cure, riducendo le opportunità di trattamento e la gestione efficace della malattia.

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angela nanni

«Se il tumore è localizzato, la chirurgia rappresenta la prima opzione terapeutica e determina la guarigione di un’alta percentuale di pazienti», aggiunge Falconi. La malattia metastatica, invece, raramente viene tratta in sala operatoria. In questa fase, si predilige agire con i farmaci: chemioterapia, analoghi della somatostatina, terapie a bersaglio molecolare.

Malattie neuromuscolari, spesso rare e incurabili. Come aiutare i pazienti e i loro caregiver

angela nanni

«Da poco abbiamo a disposizione anche un radiofarmaco che viene veicolato in modo specifico sulle cellule tumorali». Come terza ipotesi, nelle forme più aggressive, si ricorre a trattamenti locali quali l’embolizzazione o la termoablazione epatica. «Mancano studi che indichino quale sia la migliore sequenza terapeutica da seguire - conclude Carnaghi -. La terapia dei tumori neuroendocrini è cambiata in maniera radicale negli ultimi anni. Servono più sperimentazioni per capire quale sia la strategia più efficace da adottare in prima istanza».

Twitter @fabioditodaro

Oltre che rari, sono spesso silenziosi (in un caso su 5 mostrano sintomi specifici). Da qui le conseguenze gravi che possono avere i pazienti colpiti da un tumore neuroendocrino, due terzi dei quali arrivano a scoprire la malattia in ritardo: talora anche di sette anni. Si tratta di un gruppo di malattie rare (2.700 nuovi casi ogni anno in Italia) che nel 60 per cento dei casi si sviluppano a livello dello stomaco, dell’intestino e del pancreas. Mentre l’altra sede più frequente è rappresentata dall’apparato respiratorio: a livello dei bronchi. Aree in cui, come spiega Massimo Falconi, direttore del centro pancreas dell’ospedale San Raffaele di Milano, «la componente cellulare neuroendocrina è più diffusa».

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I tumori neuroendocrini colpiscono le cellule del sistema neuroendocrino diffuso, specializzate nella produzione di ormoni e di neuropeptidi specifici. Nella maggior parte dei casi, queste neoplasie non si associano a sintomi evidenti e risultano perciò di difficile diagnosi. Crescono lentamente, motivo per cui possono rimanere silenti per anni ed essere riscontrati quando già metastatici. «Nell'80 per cento dei casi i tumori neuroendocrini sono asintomatici: la diagnosi avviene perlopiù in maniera fortuita, nel corso di accertamenti richiesti per scopi diversi», afferma Laura De Marinis, responsabile dell’unità operativa di malattie dell’ipotalamo e dell’ipofisi del policlinico Gemelli di Roma. Nell'altro 20 per cento, quando la massa tumorale ha dimensioni significative o compromette la funzionalità di specifici organi, queste forme di cancro presentano sintomi correlati all'aumentata produzione di sostanze biologicamente attive. «Per esempio, i pazienti colpiti da un insulinoma presentano crisi ipoglicemiche e svenimenti soprattutto a digiuno - spiega Carlo Carnaghi, direttore dell’unità di oncologia medica dell’ospedale provinciale di Bolzano -. Ma il più frequente tumore neuroendrocrino è la sindrome da carcinoide, associata all’eccessiva secrezione di serotonina da parte delle cellule tumorali. La malattia si manifesta con un’ampia gamma di sintomi: diarrea, vampate di calore al volto e al collo, broncospasmo, scompenso cardiaco, eccessiva sudorazione, perdita di peso e comparsa di lesioni cutanee».

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La diagnosi e la terapia di questi tumori richiedono un approccio integrato che include le competenze di diverse figure professionali: il gastroenterologo, l’oncologo, l’endocrinologo, l’internista, il patologo, il radiologo, il medico nucleare, il chirurgo, il radioterapista. Una questione che oggi viene ribadita ormai quasi in tutti i casi, in ambito oncologico. Ma che risulta ancora più vera quando si è alle prese con un tumore raro. Ecco perché il principale problema di un paziente colpito da una neoplasia neuroendocrina è la scelta della struttura a cui affidarsi. Le lacune nell’assistenza possono pregiudicare l’esito delle cure, riducendo le opportunità di trattamento e la gestione efficace della malattia.

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«Se il tumore è localizzato, la chirurgia rappresenta la prima opzione terapeutica e determina la guarigione di un’alta percentuale di pazienti», aggiunge Falconi. La malattia metastatica, invece, raramente viene tratta in sala operatoria. In questa fase, si predilige agire con i farmaci: chemioterapia, analoghi della somatostatina, terapie a bersaglio molecolare.

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«Da poco abbiamo a disposizione anche un radiofarmaco che viene veicolato in modo specifico sulle cellule tumorali». Come terza ipotesi, nelle forme più aggressive, si ricorre a trattamenti locali quali l’embolizzazione o la termoablazione epatica. «Mancano studi che indichino quale sia la migliore sequenza terapeutica da seguire - conclude Carnaghi -. La terapia dei tumori neuroendocrini è cambiata in maniera radicale negli ultimi anni. Servono più sperimentazioni per capire quale sia la strategia più efficace da adottare in prima istanza».

Twitter @fabioditodaro