Accedi
Registrati


Già si parla di «una rivoluzione», che apre anche per il tumore al seno l’era dell’immunoterapia. Si tratta del primo risultato positivo per una forma di tumore al seno, quello triplo negativo metastatico o localmente molto avanzato, aggressivo che colpisce donne giovani, anche ventenni e che porta rapidamente alla morte in 12-15 mesi. In Italia, con 7-8 mila nuovi casi l’anno, il triplo negativo, così chiamato perché le sue cellule non presentano nessuno dei tre classici bersagli contro cui sono dirette le cure più efficaci, costituisce il 15% di tutti i tumori mammari. Lo studio prospettico randomizzato IMPassion130, presentato a Esmo 2018 e pubblicato in contemporanea sul New England Journal of Medicine, è stato condotto su 902 donne con cancro al senso triplo negativo che non avevano ricevuto alcun trattamento. Suddivise in due gruppi, uno è stato trattato con un farmaco immuniterapico (atezolizumab) in combinazione con un farmaco chemioterapico (nab-paclitaxel) e il gruppo di controllo ha ricevuto la sola chemioterapia. Il beneficio per le donne è stato modesto: chi ha ricevuto l’immunoterapia è vissuto senza progressione di malattia due mesi in più.

Giuseppe Curigliano, Direttore della divisione sviluppo di nuovi farmaci per terapie innovative dell’Istituto europeo di oncologia IEO di Milano, commenta lo studio con ottimismo: «Questo studio ha ottenuto risultati positivi sulla sopravvivenza libera da malattia e ha mostrato un netto vantaggio di sopravvivenza globale in un sottogruppo di donne, quelle con triplo negativo che esprime il recettore PD-L1, che erano il 41% del totale».

Il portale on line per aiutare le donne malate di tumore al seno

La sottopopolazione PD-L1 positiva che riceve l’immunoterapia in combinazione con la chemio «ha una differenza mediana di sopravvivenza di un anno, raggiungendo 25 mesi versus i 15 mesi del braccio con chemioterapia» spiega Curigliano, che parla di «vantaggio di sopravvivenza rivoluzionario».

«Questo è un passo enorme – dice - che porta per la prima volta il tumore mammario nell’era dell’immunoterapia». La combinazione è ben tollerata, con un tasso di abbandono per gli effetti collaterali, più pesanti e riguardanti principalmente la nausea, del 15%.

Un ottimismo condiviso dal responsabile dello studio, il direttore clinica del St. Bartholomew’s Breast Cancer Centre della Queen Mary University di Londra Peter Schmid: «Questi risultati cambieranno il modo in cui tratteremo queste pazienti» e d’ora in avanti gli studi futuri non potranno non tenerne conto. Il prossimo passo sarà quello di «individuare eventuali altri marcatori che, oltre a PD-L1, possano essere predittivi del beneficio dell’immunoterapia e cercheremo anche di rispondere alla domanda se in alcuni casi è possibile ricorrere alla sola immunoterapia».

Solo tre donne italiane, allo Ieo e al Pascale di Napoli, hanno potuto essere arruolate all’ultimo minuto, prima della chiusura del reclutamento. Una nota di rammarico perché così «lo studio, partito tre anni e mezzo fa, non è stato di fatto condotto in Italia, perché AIFA ha ritenuto che il chemioterapico nab-paclitaxel in prima linea non fosse uno standard – dice Curigliano - Nonostante per questo tumore non esista uno standard di prima linea».

Da trent’anni, infatti, le pazienti vengono trattate con cicli di chemioterapia, senza reali risultati, se si escludono i parp-inibitori per le pazienti BRCA mutate. Il reclutamento last minute è stata un’occasione mancata per molte donne di avere accesso ad un trattamento innovativo. Questo studio probabilmente cambierà il panorama terapeutico di questo tumore, ma la molecola non sarà immediatamente disponibile per le pazienti. Ridurre il ritardo tra la presentazione di risultati innovativi ai congressi e la loro disponibilità per i pazienti è da tempo questione al centro di grande attenzione.

La notizia di questo studio ha fatto il giro del mondo e le associazioni di pazienti hanno condannato il modo «semplicemente crudele», perché eccessivamente ottimistico, con cui sono stati diffusi i risultati dello studio. Come ha scritto una paziente sul suo blog: «Vivere con una malattia terminale è un ottovolante emotivo per cominciare. Penso che sia vergognoso infondere speranza con una pennellata così ampia quando la realtà è poco più che un sottile tratto di penna, almeno per ora».