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Gli infermieri sono una delle figure maggiormente a contatto con i pazienti. Anche per questa ragione, e perché si tratta dei due terzi degli operatori sanitari in ambito ospedaliero, sono i più esposti al rischio di incidenti legati all’uso di strumenti taglienti e pungenti, come aghi, forbici e bisturi, che in Italia sono circa 100.000 l’anno (di cui il 35-50% non viene dichiarato) e 1.200.000 in Europa.

Secondo l’OMS, nel mondo ogni anno si verificano oltre 3.000.000 di incidenti causati da strumenti pungenti o taglienti contaminati con HIV o virus dell’epatite B e C, questi causano il 37% delle epatiti B, il 39% delle epatiti C e il 4,4% delle infezioni da HIV contratte dagli operatori sanitari, cioè almeno 83.000 infezioni ogni anno direttamente riconducibili ad un’esposizione professionale, di tipo percutaneo, a materiali biologici infetti. La maggior parte di questi casi, dal 51 al 58%, vede coinvolti gli infermieri.

Di procedure di sicurezza all’interno degli ospedali si è parlato nel corso del 6° Summit organizzato a Roma dall’European Biosafety Network con il supporto di Becton Dickinson. Ne è emerso che solo un ospedale su due utilizza dispositivi di sicurezza quando è previsto l’impiego di aghi cavi per terapie endovenose e meno di uno su due per il prelievo venoso, le situazioni di maggior pericolo di infezione da patogeni trasmessi col sangue.

«Il 63% degli incidenti coinvolgono aghi cavi, la metà dei quali pieni di sangue, il 19% aghi pieni, il 7% bisturi. Circa il 75% delle esposizioni si verifica quindi in relazione a procedure per le quali sono in larga misura disponibili dispositivi intrinsecamente sicuri» specifica Barbara Mangiacavalli, Presidente Federazione Nazionale Collegi Infermieri (IPASVI).

IL COMPORTAMENTO DEGLI INFERMIERI

Non è raro che gli stessi infermieri, nel maneggiare certi strumenti, non seguano le corrette procedure previste. Secondo i dati dell’Osservatorio Italiano 2017 sulla Sicurezza di Taglienti e Pungenti per gli operatori sanitari, una ricerca realizzata da GfK Italia, due infermieri su tre ammettono di mettere in pratica almeno un comportamento che li mette a rischio di incidenti per puntura o taglio (66%); un terzo degli infermieri (32%) reincappuccia gli aghi usati, manovra esplicitamente proibita dal 1990 e ulteriormente ribadita nella nuova legislazione. Anche lo smaltimento dei dispositivi contaminati nel 40% dei casi avviene in contenitori impropri, generando anche per il personale non sanitario, come ad esempio gli addetti alle pulizie, il rischio di pungersi.

DIFFERENZE REGIONALI

«L’Italia ha un’eccellente legislazione sulla sicurezza del lavoro, tuttavia per quanto attiene l’adozione dei dispositivi di sicurezza, che dovrebbero andare a sostituire gli strumenti che l’operatore usa quotidianamente per svolgere il suo lavoro e che lo mettono a rischio di infezioni, molto deve essere ancora fatto. – dichiara Gabriella De Carli, infettivologa dello Studio Italiano Rischio Occupazionale da HIV presso l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive «Lazzaro Spallanzani»(IRCCS) – Anche i più recenti dati disponibili evidenziano infatti ancora una disomogeneità di utilizzo a livello italiano. C’è sicuramente una maggiore attenzione al problema, ma molto resta da fare».

COSTI

Per quanto riguarda le argomentazioni economiche, contenere la spesa, esigenza universale della sanità, è possibile anche riducendo i costi della gestione degli incidenti professionali.

«Con l’adozione di opportuni piani di prevenzione, formazione e introduzione dei dispositivi sicuri, si potrebbero evitare fino a 53mila incidenti a rischio biologico, 550mila ore lavorative perse e 16mila giornate di malattia. – conclude De Carli – Per dare un ordine di grandezza, ogni anno in Italia vengono spesi almeno 36 milioni di euro per far fronte alle conseguenze delle ferite accidentali da aghi cavi, cifra che potenzialmente potrebbe aumentare considerando che la metà degli incidenti non viene denunciata dagli operatori, il più delle volte per sottovalutazione del rischio o per modalità di notifica troppo complesse».

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