Oggi grazie alla possibilità di effettuare un’iniezione ogni tre mesi convivere con la schizofrenia è molto più semplice di un tempo. Di fondamentale importanza rimane però il dialogo tra paziente, medico e famigliari nello stabilire quali terapie è meglio seguire. E’ quanto emerge dall’indagine paneuropea «Open Minds» condotta su 347 psichiatri in otto Paesi (Germania, Francia, UK, Spagna, Italia, Svezia, Ungheria e Turchia). La maggior parte di loro (80%, che sale al 92% tra gli italiani), riferisce che il principale obiettivo è costruire un forte rapporto di fiducia con i propri assistiti e riuscire a portare il paziente a poter vivere una vita piena.

Che cos’è la schizofrenia?

«La schizofrenia –spiega il professor Andrea Fagiolini, direttore del Dipartimento interaziendale di Salute mentale all’Università di Siena- è una patologia psichiatrica dalla lenta evoluzione. I sintomi si dividono in positivi –come deliri, allucinazioni e pensieri disordinati- e negativi –come i deficit delle normali risposte emotive o di altri processi di pensiero. Le prime avvisaglie -meno conclamate come la tendenza all’isolamento e al controllo- possono però iniziare intorno a 10-15 anni. Proprio per questa ragione è di fondamentale importanza una diagnosi tempestiva e precoce».

Attenzione all’utilizzo di stupefacenti

Scoprire in tempo la schizofrenia infatti da modo di iniziare sin da subito una terapia adeguata, chiave di volta sia nel migliorare la gestione della malattia nel tempo sia nel diminuire il tasso di ricadute. Ma anche la prevenzione è altrettanto importante: «L’utilizzo di sostanze stupefacenti –commenta Claudio Mencacci, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Salute Mentale, ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano- è uno dei fattori che, in presenza di una predisposizione, slatentizza la malattia e la fa iniziare senza possibilità di ritorno».

Non più farmaci da assumere ogni giorno

«Da un punto di vista farmacologico la strategia di cura della schizofrenia è duplice ed è finalizzata a trattare i sintomi positivi e negativi. Mentre per i primi oggi abbiamo a disposizione diverse soluzioni, per questi ultimi il trattamento risulta essere più difficile» spiega Fagiolini. Fortunatamente da qualche tempo la ricerca è riuscita a sviluppare delle molecole in grado di colmare questa differenza. Un grande passo avanti lo si è fatto grazie ai LAI -Long Acting Injectables-, farmaci dalla lunga durata d’azione. Un esempio è il paliperidone palmitato in una formulazione che –a differenza del passato- prevede solo 4 somministrazioni all’anno. Ed è questa la vera novità. Perché a differenza di quanto si possa pensare solo una persona su 3, a tre mesi dalla dimissione ospedaliera, continua ad assumere i farmaci correttamente.

Liberi di vivere una vita piena

«Il primo vantaggio è la stabilità – spiega Giuseppe Maina, Direttore di Struttura Complessa di Psichiatria presso l’Azienda Ospedaliera-Universitaria San Luigi Gonzaga di Orbassano – che offre al paziente di ridurre le oscillazioni dei sintomi e le eventuali ricadute.

Il secondo vantaggio, non di poco conto, è la libertà, sia per il paziente sia per il famigliare che segue il paziente. La persona è più libera dal ricordare di dover assumere la terapia 365 giorni all’anno contro le 4 volte di quella trimestrale. Il caregiver viene sollevato dalla responsabilità di dover continuamente controllare e verificare che il suo caro l’abbia assunta. Questo consente tra i due un rapporto più sereno e rilassato.

Il terzo vantaggio è la normalità: una terapia come questa permette di riportare il paziente ad una maggiore normalità anche dal punto di vista dello stigma. È molto meno stigmatizzato un paziente quando, in mezzo agli altri, non deve ricordarsi di prendere la pillola tutti i giorni o tre volte al giorno».

Necessario un dialogo continuo con lo specialista

Attenzione però a pensare che tutto si possa risolvere attraverso un approccio farmacologico. «Un paziente con schizofrenia richiede particolari farmaci, particolari interventi anche di sostegno sociale, di psicoeducazione per conoscere la propria malattia, di educazione alla famiglia, quindi un approccio integrato abbastanza complesso, anche perché nessun paziente schizofrenico è uguale a un altro. Un approccio a 360 gradi che coinvolge più figure professionali è fondamentale per fare la differenza» conclude Fagiolini.

@danielebanfi83


Alcuni diritti riservati.

vai all'articolo originale >>