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Sin dall’antichità, la morte, il sangue e l’oscurità sono gli archetipi più potenti delle paure dell’uomo. Questo spiega perché il mito di una creatura maligna e diabolica che vive di notte nutrendosi dell’essenza vitale degli esseri umani (carne o sangue) è presente in moltissime culture fin dall’arcaico, come in quella mesopotamica, egizia, ebraica, greca e romana.

Nelle Grecia antica, una figura assimilabile al vampiro si chiamava vrykolakas, nei Balcani era lo strigoi, in Francia il revenant, in Africa l’asanbosam (un essere arboricolo con denti di ferro) nelle Americhe il loogaroo, in India la ghul, che si ciba di cadaveri, e nelle Filippine l’aswang, sorta di vampiressa dotata di proboscide.

Nel pantheon malefico delle credenze di tutto il mondo il vampiro è l’essere più a contatto con la materia organica dell’uomo, con i suoi fluidi e la sua linfa vitale. Per questo motivo i collegamenti con malattie, morti inspiegabili e fenomeni biologici ricoprono un ruolo importante per l’origine di questo mito.

DECOMPOSIZIONE

Il vampiro (dal serbo-croato “vampir”) si consolida, con le sue classiche caratteristiche, nell’Europa dell’est intorno al ‘600, quando si iniziò a mettere per iscritto le leggende orali tramandate da numerosi gruppi etnici. Da questi racconti, pur nella diversità delle tradizioni, emergono alcuni tratti comuni che contraddistinguono questa creatura malvagia.

Il suo corpo viene descritto in genere come gonfio e ben pasciuto, di colorito scuro o paonazzo, spesso con un occhio semiaperto e un rigagnolo di sangue che esce dalla bocca e dal naso. Le sue unghie sono lunghe, i denti spesso scoperti in un ghigno satanico. Il libro «Vampires, Burial and Death» dell’antropologo americano Paul Barber collega tali caratteristiche ad alcuni fenomeni che si verificano, in certi casi, durante la decomposizione dei cadaveri.

Quando in un villaggio, o in una famiglia, si verificavano varie morti consecutive magari causate dalla tubercolosi, si riteneva che la prima persona morta potesse provocare il decesso degli altri tornando misteriosamente in vita. Per questo motivo, se ne riesumava la salma alla ricerca di indizi che provassero la sua attività di vampiro. In particolari condizioni chimico-climatiche il corpo seppellito non va in immediato disfacimento: i gas che si sviluppano al suo interno possono produrre gonfiore, colorito rossastro, emorragie visibili dal naso e dalla bocca e, se passano attraverso la laringe, tali gas producono persino gemiti e rumori.

La disidratazione dei tessuti poteva scoprire i denti e la radice dei capelli. Tutto ciò faceva ritenere agli attoniti autori della riesumazione, che il defunto conducesse un’intensa attività post mortem, che potesse uscire dalla tomba per alimentarsi empiamente suggendo il sangue dei vivi.

Il VAMPIRO SERBO

Il volume di padre Agostino Calmet

Esemplare fu, in tal senso, il caso di un contadino serbo, Peter Plogojowitz, deceduto nel 1725 a 62 anni per tubercolosi o difterite nel villaggio di Kisilova, in Rezia. Nel giro di pochi giorni lo seguirono nella tomba nove dei suoi familiari e ognuno aveva dichiarato, prima di morire, che Peter aveva fatto loro visita, tentando di soffocarli.

Il terrore si impadronì dei paesani i quali andarono a riesumare il corpo di Plogojowitz alla presenza del provveditore e del pope. Con raccapriccio constatarono che il cadavere non presentava il minimo segno di decomposizione: le unghie, cadute, si erano riformate e dalla sua bocca usciva un rigagnolo rossastro.

Così gli abitanti del villaggio decisero di trafiggere il corpo con un palo appuntito: quale orrore quando il cadavere emise dei gemiti, inondandosi di sangue fresco. Il corpo venne bruciato e l’episodio fu accuratamente riportato dai responsabili della pubblica sicurezza. Venne successivamente citato da padre Agostino Calmet, l’erudito che scrisse un ampio e celebre trattato sui vampiri.

MORTI APPARENTI

Antoine Wiertz «Il seppellimento prematuro», 1854

Il prolungarsi delle condizioni di coma o catalessi di un malato, a volte, faceva sì che lo si inumasse mentre era ancora vivo. Si trattava di un caso piuttosto frequente nei secoli passati, tanto che, nell’Ottocento, ancor più dopo la pubblicazione del famoso racconto di Poe «The premature burial», la paura di una simile evenienza si diffuse tanto da far inventare degli specifici sistemi di allarme per le tombe.

Possiamo, quindi, immaginare lo choc provato da coloro che partecipassero all’esumazione di un corpo prematuramente seppellito: la posizione scomposta del cadavere, la sua espressione di terrore, i graffi e le incisioni nel coperchio della bara, tutto suggeriva a degli osservatori prevenuti, la diabolica volontà di resurrezione di un vampiro, mentre al contrario si trattava degli spasmi disperati di un poveretto sepolto vivo.

PORFIRIA

Ne 1985, venne fuori un’ipotesi che poneva, all’origine del folklore sui vampiri, la Porfiria. Si tratta di una malattia rara che colpisce l’attività degli enzimi che sintetizzano l’ematina nel sangue e che, nei casi più gravi, deturpa orribilmente il viso di chi ne è affetto. Le labbra si ritirano scoprendo i denti dell’arcata superiore, gli occhi si opacizzano, il naso «cade» e il malato, estremamente fotosensibile, non può sopportare la luce del sole che, scatenando la protoporfirina, gli produce bruciore, prurito e tumefazioni.

Secondo il biochimico David Dolphin, autore della proposta, ai malati di porfiria, che uscivano di casa esclusivamente al calar delle tenebre, si dava da bere del sangue animale, nel vano tentativo di curare la malattia. Tuttavia, sebbene l’ipotesi sia stata presto respinta dal mondo scientifico, essa si è radicata nell’opinione pubblica. Basterebbe tuttavia farsi una domanda: possibile che le persone affette da questa rara malattia fossero in così gran numero da dare vita a una simile leggenda?

RABBIA

Un cane rabbioso in un disegno d’epoca

Associando il vampirismo al mondo delle malattie, può sembrare abbastanza plausibile citare il morbo della rabbia secondo le argomentazioni del neurologo spagnolo Juan Gómez-Alonso. Il virus produce, infatti, un’infiammazione del cervello che genera comportamenti aggressivi tali da condurre il malato a mordere e aggredire altre persone; squilibra il sonno tanto da rendere svegli di notte e sonnolenti di giorno; la malattia viene trasmessa, oltre che dai cani rabbiosi, anche da lupi e pipistrelli, animali tradizionalmente associati ai revenant.

Nell’Ottocento la rabbia era un morbo temutissimo e il morso di un animale infetto veniva cauterizzato con una chiave arroventata intitolata a Sant’Uberto, ritenuto guaritore della malattia.

L’INDAGINE DI MARIA TERESA D’AUSTRIA

Gerard van Swieten. Litografia dell’epoca

Per secoli si è condivisa ovunque e fermamente l’esistenza dei vampiri. Nel ‘700, questa credenza portò a una vera e propria psicosi di massa tanto da produrre esecuzioni pubbliche di individui ritenuti dei non-morti. Il fenomeno, passato alla storia come «Controversia sui vampiri del XVIII secolo» aveva raggiunto tali proporzioni che Maria Teresa d’Austria incaricò il suo medico personale Gerard van Swieten, di condurre un’indagine per tutto l’impero. La ricerca si protrasse dal 1718 al 1732 e il responso finale fu che i vampiri non esistevano.

L’imperatrice asburgica, allora, emanò una legge che vietava le riesumazioni e le profanazioni di tombe. Questo provvedimento, se chiuse formalmente la controversia, consegnò definitivamente il vampiro al mondo della superstizione e della letteratura rendendolo, comunque, immortale. Come noto, lo scrittore irlandese Bram Stoker nel 1897 scrisse «Dracula», il romanzo che ponendo come protagonista la figura di Vlad Ţepeş Dracul, voivoda di Valacchia, avrebbe raccolto e definito le gran parte delle tradizioni balcaniche sul mondo dei vampiri. Innumerevoli sono stati, da allora, i film, i romanzi e le serie tv dedicati a questa creatura che continua ad affascinare e a rimanere una delle nostre paure preferite.

Dracula impersonato da Gary Oldman nell’omonimo film di F. F. Coppola