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I meccanismi alla base dei sogni ora sembrano più chiari. Questo grazie al monitoraggio dell’attività cerebrale, sia durante la fase REM che nelle fasi non-REM, di una particolare zona posteriore della corteccia cerebrale. Uno studio pubblicato su Nature Neuroscience dal gruppo di ricerca guidato dal professor Giulio Tononi ha cercato di fare luce sui cambiamenti che avvengono durante la notte per quanto riguarda gli stati di coscienza.

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«Abbiamo voluto studiare il sogno perché ci permette di paragonare la coscienza e la sua assenza all’interno dello stesso stato - spiega Francesca Siclari, neurologa dell’università di Losanna e una dei primi autori della ricerca - Mentre durante la veglia uno è sempre cosciente perché ha continue esperienze, nel sonno ci sono fasi dove non si hanno esperienze e altre che ne sono invece molto ricche, come ad esempio quando si sogna».

LE DUE FASI E LA HOT ZONE

Fino a oggi i sogni erano associati al sonno REM, dall’inglese «rapid eye movements», una fase in cui l’attività cerebrale è molto rapida e simile alla veglia. Ma si sapeva anche che un individuo potesse sognare con notevole frequenza durante il sonno non-REM, caratterizzato invece da un’attività cerebrale molto più lenta.

Attraverso l’elettroencefalogramma (EEG) ad alta risoluzione i ricercatori sono andati a monitorare l’attività cerebrale di soggetti che venivano svegliati durante il sonno, sia nella fase REM che nella fase non-REM, e a cui veniva chiesto se prima del risveglio stessero sognando.

In particolare è stato notato che è l’attivazione di una zona corticale posteriore del cervello, la cosiddetta «hot zone», a determinare l’attività onirica. A livello di onde cerebrali si è osservato che la diminuzione di quelle a bassa frequenza, ossia le onde delta, e l’aumento di quelle ad alta frequenza, cioè le gamma, sono fenomeni legati alla presenza di sogni durante il sonno.

«La scoperta centrale del nostro studio è che a livello regionale sembrano contare solo i cambiamenti in questa zona posteriore. Ciò che accade in altre aree della corteccia non sembra avere grande influenza sui sogni - prosegue Siclari - L’EEG ad alta risoluzione ci ha permesso di capire che basta il solo «punto caldo» posteriore per generare coscienza: finora si pensava che per essere coscienti dovesse essere attiva quasi tutta la corteccia».

PREVEDERE QUANDO SI SOGNA

Una seconda parte della ricerca si è poi soffermata sul contenuto del sogno e non soltanto sulla sua presenza. Le zone cerebrali che si attivano durante alcune esperienze oniriche con presenza di volti, movimenti oppure pensieri, sono sovrapponibili alle diverse aree del cervello che si attivano quando si hanno queste stesse esperienze durante lo stato di veglia.

Ma in maniera ancora più interessante questo studio ha permesso di creare un algoritmo che può stabilire quando una persona sta sognando sulla base della sua attività cerebrale, attraverso il monitoraggio delle onde a bassa e alta frequenza nella «hot zone». Un meccanismo di previsione in tempo reale dell’attività onirica che ha una precisione vicina al 90%.

Gli studi su questo argomento sono solo all’inizio: finora i ricercatori si sono soffermati sui sogni per studiare la coscienza attraverso l’attivazione della zona corticale posteriore. «Ora bisogna vedere se in altri stati, come l’anestesia generale o il coma, l’analisi di questa stessa area ci può aiutare a predire la presenza o l’assenza di coscienza» conclude Siclari.

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