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È una malattia rara, che compare d’improvviso e, se non è prontamente riconosciuta e trattata, può essere fatale. La porpora trombotica trombocitopenica (TTP) è un disturbo della coagulazione del sangue, nel 95% dei casi autoimmune, che provoca la formazione di aggregati di piastrine nei vasi sanguigni; tali trombi ostacolano il microcircolo causando danni diffusi a cervello, cuore e reni, da lievi ischemie fino a eventi acuti come ictus, infarti e trombosi venose nonché morte improvvisa.

All’origine c’è una riduzione di un enzima, ADAMTS13, che altera l’attività di una proteina coinvolta nel processo di aggregazione piastrinico chiamata fattore di von Willebrand. «In caso di episodio acuto, la prontezza nella diagnosi, che è clinica ma va confermata con la misurazione dei livelli di ADAMTS13, e la tempestività del trattamento possono salvare la vita ed evitare danni agli organi, soprattutto a livello cerebrale e neurologico» spiega la professoressa Flora Peyvandi, direttrice del Centro Emofilia e Trombosi della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico. È lei ad aver dimostrato, tra le alte cose, che spesso i disturbi cognitivi permangono anche in fase di remissione: «Un esame di risonanza magnetica sarebbe consigliabile per questi pazienti, il sostegno psicologico aiuta a gestire deficit cognitivi e aspetti emotivi». Il monitoraggio del paziente in fase di remissione serve per scongiurare il rischio delle ricadute che interessano il 30% dei pazienti e che, per quanto imprevedibili, sembrano essere associate a bassi livelli dell’enzima ADAMTS13 durante la fase di remissione.

Immutate dagli Anni Novanta, le cure prevedono la plasmaferesi immediata e l’immunosoppressione a base di corticosteroidi ed eventualmente rituximab per inibire la formazione di anticorpi. A questi due «pilastri della terapia», spiega l’ematologa, se ne aggiungerà a breve terzo, un farmaco, già approvato in Europa, utile in acuto prima della plasmaferesi perché «in grado di far aumentare subito le piastrine e dare il tempo allo specialista di procedere poi con le terapie standard».

La nuova molecola, primo farmaco specifico per la TPP, si chiama caplacizumab, è un nano-anticorpo ingegnerizzato che, legandosi proprio al fattore di von Willebrand, ne inibisce l’interazione con le piastrine, riducendo così la formazione di aggregati.

L’Italia ha avuto un ruolo importante negli studi registrativi che hanno portato all’approvazione della nuova molecola: sono stati 16 i pazienti reclutati in 4 centri per lo studio «Titan» di fase II e, poi, 10 quelli reclutati in cinque centri nello studio «Hercules» di fase III.

«Il farmaco - ha spiegato la professoressa Peyvandi - protegge anche dalle conseguenze a lungo termine, riduce le riacutizzazioni e anche i giorni di plasmaferesi». Nel frattempo, è in via di sperimentazione, ma ancora in fase III, anche un'altra molecola ingegnerizzata, la proteina ADAMTS13 ricombinante.

Mentre la ricerca farmacologica avanza, molti ostacoli permangono nella quotidianità delle persone con TPP, i “porporini”. «Non sono pochi quelli di noi che ancora si nascondono, è comprensibile perché in molti perdono il lavoro e faticano a trovare una nuova occupazione - racconta Massimo Chiaramonte, Presidente ANPTT-Associazione Nazionale Porpora Trombotica Trombocitopenica ONLUS. Più se ne parla meglio è, anche per il bene dei pazienti stessi dal momento che, alla luce della tempestività necessaria, servono medici informati e pronti a riconoscere i segni della malattia, spesso aspecifici, soprattutto nella fase iniziale.