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«La rivoluzione nel trattamento del Parkinson consisterà nell’avere a disposizione un pattern di esami biochimici e strumentali in grado di tipicizzare fin dall’inizio la malattia, che non è una condizione unica ma un insieme di fenotipi diversi con caratteristiche ed evoluzioni diverse. Anche per il Parkinson, il futuro sarà la medicina di precisione».

CONGRESSO NAZIONALE DAL 17 AL 19 MAGGIO

Spiega così gli studi in corso sulla conoscenza della malattia di Parkinson il professor Pietro Cortelli, neurologo dell’Università di Bologna e presidente dell’Accademia per lo Studio della Malattia di Parkinson e i Disordini del Movimento (Accademia LIMPE-DISMOV), che si riunirà dal 17 al 19 maggio a Verona per il terzo congresso nazionale dal titolo «Malattia di Parkinson 200 anni dopo: certezze e nuove scoperte».

IL NOME DELLA MALATTIA DAL SUO SCOPRITORE: CAPI’ TUTTI I SINTOMI

Si celebra, infatti, quest’anno il bicentenario della pubblicazione del «Trattato sulla paralisi agitante» di James Parkinson, nel quale il medico descrisse la malattia che causa «tremore, rigidità e riduzione del movimento».

La patologia è caratterizzata dalla degenerazione di una zona del cervello, la substantia nigra, dove sono localizzati i neuroni pigmentati che producono la dopamina, neurotrasmettitore fondamentale per l’esecuzione dei movimenti. Ma già James Parkinson aveva compreso che non si trattava solo di una malattia motoria e nel suo Trattato descrisse i sintomi non motori della condizione che da lui prende il nome.

L’INFLUENZA DELLA MALATTIA SULLE CAPACITA’ COGNITIVE

Infatti, l’alterazione dei neuroni dopaminergici delle zone cerebrali colpite dal Parkinson non ha unicamente delle conseguenze motorie, ma può provocare un’alterazione delle funzioni del sistema nervoso autonomo e influire sulle capacità cognitive dei pazienti. «Nella maggior parte dei casi, non abbiamo a che fare con parkinsoniani “puri”, ma con persone che presentano anche una disfunzione vegetativa nei diversi domini urogenitale, gastrointestinale, cardiovascolare, cognitivo e del sonno» ci spiega il professor Cortelli.

Tenendo sempre ben presente il fattore età, la presenza di sintomi unicamente motori è garanzia di un miglior decorso, perché ci dice che la neurodegenerazione è focalizzata, mentre gli altri sintomi suggeriscono una maggior compromissione generale. Perché alcuni pazienti presentano solo sintomi motori? Perché altri presentano, già all’esordio, sintomi non motori? «Ancora non lo sappiamo. La medicina di precisione ci aiuterà a rispondere a questi quesiti fondamentali».

I SINTOMI DELLA MALATTIA, DALLA DEPRESSIONE ALLA STIPSI

Circa il 70-90% di pazienti con diagnosi di Parkinson ha un sonno disturbato, presente anche in altre patologie neurologiche. Inoltre, un fattore di predizione fondamentale, forse attualmente il più importante, per la comparsa della malattia è il disturbo comportamentale in sonno REM (RDB), dovuto alla mancata inibizione del tono muscolare (l’atonia che ci consente di sognare senza muoverci) che causa un’agitazione anche violenta nel corso del sonno e per la cui diagnosi è necessario un esame poligrafico.

«Il sonno è uno stato particolare, che permette di indagare l’organismo in assenza di volontà nei due momenti di massima e minima attivazione vegetativa e motoria, il sonno Rem e quello profondo» spiega il professor Cortelli. «Il disturbo RDB è associato all’insorgenza futura di neurodegenerazioni (Parkinson e parkinsonismi come l’atrofia multisistemica o la demenza a corpi di Lewy) legate al deposito della proteina (denominata sinucleina) a livello di varie strutture del sistema nervoso, ma non possiamo prevedere se si svilupperò un Parkinson o un parkinsonismo né tantomeno prevedere quando». Le stime indicano che l’80% di chi soffre di RDB svilupperà il Parkinson entro 13 anni.

Altri sintomi non motori riguardano la sfera cognitiva. Questi disturbi riguardano la memoria, la percezione del tempo, la depressione e il riconoscimento delle emozioni, ma anche disturbi del comportamento, come gioco d’azzardo, ipersessualità, comportamenti ossessivo-compulsivi e alterazione dei processi decisionali. Questo dipende dall’alterazione dei fasci di connessione tra i nuclei della base e le aree frontali. E le terapie per i sintomi motori possono peggiorare questo quadro perché «i farmaci, migliorando la trasmissione dopaminergica, influiscono anche sul funzionamento dell’area mesolimbica e sui circuiti della ricompensa e del piacere» spiega Cortelli. «Per questo, bisogna avere un quadro generale del paziente e conoscerne la storia e il carattere prima della diagnosi, per valutare bene la cura da seguire».

Non bisogna sottovalutare tutti gli altri sintomi non motori, come stipsi, rallentato svuotamento dello stomaco, disturbi della deglutizione, dell’olfatto e della vista, aumentata frequenza urinaria. «E’ necessario individuare e tenere sotto controllo fin da subito tutti i sintomi, non solo quelli a carico dell’apparato motorio, perché i sintomi non motori incidono moltissimo sulla qualità della vita di un paziente e perché molto spesso sono quelli che ci impediscono di contrastare al meglio i sintomi motori, non consentendoci ad esempio di somministrare adeguate dosi di farmaco o interferendo con il suo assorbimento».

AD OGGI 250 MILA MALATI

La malattia di Parkinson colpisce oggi 250 mila persone ed è la seconda malattia neurodegenerativa in termini di frequenza. La neurodegenrazione inizia molti anni prima della comparsa dei sintomi motori; durante questa lunga fase, però, possono essere presenti manifestazioni non motorie, ancora insufficienti per la diagnosi ma possibili spie di un processo patologico in atto. Ferve la ricerca di criteri attendibili per la diagnosi di malattia di Parkinson prodromica e contemporaneamente di farmaci neuroprotettivi efficaci capaci di interferire con la morte neurale.

@nicla_panciera

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