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Molti medici si devono confrontare con le conseguenze della crescente violenza terroristica. Per questa ragione gli ortopedici e traumatologi europei hanno deciso di «costruire sull’esperienza» dei colleghi: riuniti a Vienna per il 18esimo congresso europeo, dedicato quest’anno ad «Attività sportive e ortopedia», hanno deciso di dedicare alcuni dei loro incontri agli atti di terrorismo e alle loro conseguenze per la chirurgia ortopedica. Gli specialisti che hanno operato nel contesto degli attacchi di Parigi, Bruxelles, Berlino o in Israele sono stati infatti invitati a condividere le proprie esperienze.

COSTRUIRE SULL’ESPERIENZA

«In quanto specialisti in ortopedia e traumatologia, anche noi dobbiamo essere in grado di affrontare sfide rare e inaspettate e abbiamo la grande responsabilità di servire le nostre comunità garantendo le cure migliori nelle circostanze più urgenti» ha detto il professor Jan Verhaar, chirurgo ortopedico dell’Erasmus University Medical Centre di Rotterdam e presidente di EFORT Federazione delle associazioni nazionali di ortopedia e traumatologia. «Il terrorismo è sempre qualcosa di imprevedibile. Non siamo abbastanza preparati per il terrorismo in Europa e dobbiamo migliorare notevolmente la nostra conoscenza delle molte implicazioni che questi atti di violenza hanno sul nostro lavoro».

TRAUMATOLOGIA DI GUERRA

Di «medicina di guerra applicata ai civili» ha parlato il dottor Olivier Barbier, chirurgo ortopedico del Bégin Military Teaching Hospital di Parigi. «I feriti portati negli ospedali militari in questi casi beneficiano dell’esperienza professionale del personale nella gestione del triage e dei principi del controllo dei danni». Infatti, la procedura di ordinamento per gravità di lesioni è stata applicata nell’attacco del novembre 2015 a Parigi. Otto sono stati classificati come T1 - quelli che richiedono un trattamento più urgente, dieci sono stati inseriti nella categoria triage T2 e 27 sono stati considerati meno urgenti con una categoria di T3. Ciò ha permesso ai chirurghi di eseguire un totale di 50 operazioni in modo ordinato ed efficiente. Nel complesso, ventiquattro ore dopo l’inizio degli attacchi, sono state completate tutte le operazioni di emergenza.

LE ORIGINI DEL TRIAGE

Forse non tutti sanno, infatti, che le origini del triage sono militari: la sua invenzione è attribuita al chirurgo di Napoleone Jean Dominique de Larrey. In francese, «triage» significa scegliere e fa riferimento alla pratica di valutare immediatamente e rapidamente la condizione clinica dei pazienti e la sua evoluzione, attribuendo poi una scala di codici (o colori) per definire la priorità di trattamento. Oggi, si pratica normalmente nell’accoglienza dei pazienti al pronto soccorso. In caso di situazioni eccezionali – come d’emergenza e sovraffollamento nelle aree di guerra – è una procedura che consente di agire efficacemente e anche di salvare il maggior numero di vite, imponendo a volte di scegliere di curare solo chi ha più probabilità di sopravvivere e non coloro che, troppo gravi, non sopravvivrebbero comunque.

ESSERE PREPARATI

Quanto all’esperienza francese narrata dal dottor Olivier Barbier, «qualcosa di simile può accadere ovunque, anche in piccole città», ha osservato il professor Verhaar. «Dobbiamo assicurarci che tutti siano pronti a gestire immediatamente un così gran numero di persone ferite».

La differenza tra un attacco terroristico e un incidente che pur coinvolge un grandissimo numero di soggetti sta nel fatto che in quest’ultimo caso sono chiari i contorni spaziali e temporali che invece mancano nell’incertezza di un attacco, quando non si può mai sapere con precisione quanti sono i feriti e quali le loro condizioni. Per questa ragione, anche il processo decisionale si discosta dal consueto e i medici possono trovarsi nella situazione di gestire solamente casi urgentissimi, solo emergenze e di dover assicurare ai pazienti le funzioni vitali. A cambiare è anche il tipo di ferite, che in un attacco terroristico possono provocare forti sanguinamenti ed essere del tutto nuove rispetto a quelle che gli specialisti sono abituati a trattare.

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