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«L’era post-antibiotici – nella quale infezioni comuni e lievi ferite possono diventare mortali – è purtroppo ormai lontana dall’essere considerata una fantasia apocalittica. E’ diventata invece una reale possibilità del XXI secolo».

Così il quadro dato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) nella prefazione al Rapporto Globale sulla resistenza antimicrobica (AMR), pubblicato lo scorso 30 aprile. Anticipata, benchè non conosciuta nei meccanismi, da Sir Alexander Fleming (Premio Nobel nel 1945) dopo la sua scoperta nel 1928 della penicillina, l’AMR negli ultimi decenni ha praticamente reso inutilizzabili molti degli antibiotici disponibili, compresi i più recenti farmaci carbapenemici associati a innovativi inibitori di enzimi di resistenza.

Infatti, l’utilizzo inappropriato degli antibiotici ha portato a un vasto e rapido sviluppo di ceppi di batteri resistenti a questa classe di farmaci, che rende difficile il trattamento di una gamma sempre più ampia di infezioni abbastanza comuni e facili da contrarre. In Italia la percentuale di resistenza ai carbapenemi riportata nel report dell’WHO è pari a circa il 25%, inferiore solo a quella della Grecia, tra i paesi europei. Si calcola che ogni anno l’AMR è causa di circa 25.000 morti in Europa e 70.000 a livello globale. Secondo le statistiche, nel 2050 le infezioni batteriche costituiranno la principale causa di decessi.

Tali criticità sono aggravate dal fatto che al momento non ci sono nuovi antibiotici in fase di sviluppo. E se da una parte, secondo gli esperti, bisogna lavorare per migliorare prevenzione e controllo delle infezioni, per migliorare l’appropriatezza prescrittiva - cioè prescrivere antibiotici solo quando è veramente necessario; dall’altra è necessario adottare misure per promuovere l’innovazione e investire in ricerca ambiziosa e sviluppo di nuove tecnologie. La ricerca di base, in realtà, suggerisce diverse alternative agli antimicrobici tradizionali. Un rapporto pubblicato alla fine del 2015 sulla rivista The Lancet Infectious Disease, ha individuato ben diciannove possibili approcci promettenti, tra cui vaccini, probiotici, antibiotici peptidici, batteriofagi geneticamente modificati. Quindi qualche novità esiste, isolata e promettente. Molte delle possibili alternative sono pero’ ancora a livello di studio clinico.

UN GEL CREATO IN SVEZIA
Un promessa arriva dalla Svezia, dove presso il Politecnico di Stoccolma è stato sviluppato un sofisticato gel con proprietà antibatteriche. «Il gel dovrebbe essere applicato durante una operazione chirurgica prima di suturare la ferita, per inibire la crescita dei batteri senza la necessità di antibiotici», spiega Michael Malkoch, professore di tecnologia delle fibre e dei polimeri. Il gel forma uno strato protettivo e i batteri sono attratti dai domini positive che cosituiscono le componenti del gel. Lo strato neutralizza i batteri interagendo con la loro membrana, che li fa scoppiare uccidendoli.

Paolo Ruggerone, del Dipartimento di Fisica, dell’università di Cagliari, si occupa di simulazioni computazionali a livello atomico e analizza gli antibiotici in uso e anche quelli scartati in passato, per capire quali sono i fattori che determinano o meno il trattenimento delle molecole nei batteri – importante per il successivo trasferimento delle conoscenze nel processo di disegno di farmaci.

«In particolare, negli ultimi anni ci siamo occupati di sistemi di efflusso batterico, che possono espellere antibiotici presenti all’interno del batterio, impedendogli così di raggiungere i loro bersagli ed esercitare l’azione antibatterica» spiega. Si tratta di macchine proteiche particolarmente complesse, capaci di espellere decine e decine di composti chimicamente differenti, e come tali sono fortemente coinvolti nell’insorgere del preoccupante fenomeno della multi-resistenza batterica, la resistenza dello stesso batterio a diverse famiglie di antibiotici. “Insieme a dei collaboratori americani abbiamo analizzato il funzionamento di possibili inibitori dei sistemi di efflusso, cioè di molecole in grado di ostacolarne il funzionamento, ripristinando così l’efficacia degli antibiotici”.

LA «COMBINAZIONE» DI PIU’ANTIBIOTICI
Una altra recente strategia adottata è stata la terapia di combinazione che, a differenza della monoterapia in cui viene utilizzato un solo antibiotico, prevede l’impiego di specifiche combinazioni di antibiotici. In particolar modo è stato condotto uno studio sui batteri Gram negative resistenti ai carbapenemi, antibiotici ad ampio spettro.

Tali microrganismi sono resistenti alla quasi totalità degli antibiotici, tranne che alla colistina. La colistina è un antibiotico impiegato in ultima istanza, cioè quando tutti gli altri antibiotici utilizzati non hanno avuto alcun effetto. Da tale studio è stato dimostrato che il tasso di mortalità era maggiore nel caso della mono-terapia, mentre si riduceva nel caso della terapia di combinazione di carbapenemi e colistina.

«Inoltre, stanno emergendo nuove classi di antibiotici come gli anticorpi monoclonali e i fagi (i virus dei batteri)» racconta Gian Maria Rossolini, microbiologo delle Università di Firenze e Siena.

GLI ANTICORPI
Per quanto riguarda gli anticorpi, il Bezlotoxumab - è stato il primo già approvato per il trattamento negli adulti con infezioni da Clostridium difficile, un batterio diffuso negli ambienti nosocomiali e la principale causa di diarrea. Il Bezlotoxumab è un anticorpo monoclonale programmato per legarsi a una tossina prodotta dal Clostridium difficile, neutralizzandone l’attività: in associazione alla terapia antibiotica per il Clostridium difficile, rappresenta un alleato in grado di consentire la prevenzione della recidiva di infezione.

«Diversi altri anticorpi sono in fase di sperimentazione clinica» continua Rossolini, «e risorse potenzialmente promettenti sono i fagi, già utilizzati in passato e poi abbandonati nel mondo occidentale proprio per il successo iniziale degli antibiotici».

I VIRUS CHE MANGIANO I BATTERI
Un primo traguardo è stato descritto questo mese nella rivista scientifica internazionale Nature Medicine. Una ragazza affetta da fibrosi cistica e con una brutta infezione post-operatoria da ceppi antibiotico-resistenti di un micobatterio (Mycobacterium abscessus, parente del patogeno della tubercolosi) è stata salvata grazie alla somministrazione di un preparato di tre fagi, ovvero virus che mangiano i batteri dannosi o letali per l’uomo. La terapia sembra sicura ed efficace.

«Nell’ambito delle polmoniti batteriche, anche le vaccinazioni anti-influenzali possono aiutare nella prevenzione», dice Francesco Blasi, pneumologo del Policlinico di Milano.

«L’influenza porta con sè l’aumentata probabilità di contrarre infezioni polmonari. Diversi fattori suggeriscono che il vaccino antinfluenzale rappresenti una possibile misura efficace per controllare l’AMR».

Relativamente al fatto che i vaccini sono in grado di ridurre l’uso di antibiotici, uno studio pubblicato su Lancet stima che la copertura universale porterebbe ad una riduzione del 47% circa nella quantità di antibiotici utilizzati per trattare polmoniti da Staphylococcus pneumoniae. Anche la vaccinazione contro il rotavirus semra essere in grado di ridurre il diffuso ricorso a terapie antibiotiche in caso di diarrea nei bambini.

Mentre scienziati e medici lavorano per trovare alternative valide agli antibiotici, non ci si dimentichi di una cosa semplice, eppure cruciale: il lavaggio delle mani resta sempre il modo più efficace per ridurre le infezioni anche del 50% in ambito sanitario-assistenziale.

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