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A maggio l’Ufficio regionale europeo dell’OMS ha pubblicato il report Spotlight on Adolescent Health and well-being, una dettagliata panoramica sulla salute fisica, sulle relazioni sociali e sul benessere psicologico di 227.441 ragazzi di 11, 13, e 15 anni in 45 Paesi del mondo. Il report è allestito con i dati che vengono raccolti ogni 4 anni: la ricerca per l’Italia è coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità e dalle Università degli Studi di Padova, Torino e Siena.

Dal report emerge che i ragazzi italiani nelle tre fasce di età considerate sono fra i peggiori per consumo di frutta e verdura. Sempre nelle tre fasce di età i nostri ragazzi sono quelli che denunciano la più alta prevalenza di sintomi somatici e psicologici. A denunciare questo nervosismo di fondo sono soprattutto le ragazze.

Gli adolescenti italiani, infine, mostrano anche di essere fra i più attivi nell’usare le nuove tecnologie per le relazioni sociali. Come leggere questa grossa mole di dati? Abbiamo provato a farlo con l’aiuto del Prof. Alessio Vieno del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università degli Studi di Padova, Principal Investigator per l’Italia per questo progetto.

Professor Vieno, come spiega il dato secondo il quale i ragazzi italiani mangiano in modo non corretto, nonostante vivano nel Paese della dieta mediterranea?

«Più che di un abbandono delle buone abitudini della dieta mediterranea da parte dei nostri ragazzi analizzando a fondo i dati, emerge che lo scarso consumo di frutta e verdura più che ai ragazzi in generale è un problema ascrivibile agli strati più svantaggiati della popolazione. Se da un lato quindi possiamo osservare come questo fenomeno sia in espansione, dobbiamo anche dire che sembra legato più ad un aumento delle disparità che ad un cambio nelle nostre abitudini alimentari. E’ probabile dunque che, oltre ad una differente sensibilità, ad uno stile di vita salutare, ci possa essere anche una certa difficoltà ad approvvigionarsi con cibi salutari da parte dei ceti più svantaggiati dal punto di vista sociale ed economico. Non solo però a causa di una scarsa disponibilità economica, ma perché manca la consapevolezza dell’importanza di strutturare la propria alimentazione non dimenticandosi di frutta e verdura fresca».

Spesso i ragazzi dormono male: l’uso dei dispositivi tecnologici di sicuro influisce. Il ruolo dei genitori in questo scenario?

«Alcuni colleghi negli Stati Uniti parlano addirittura della distruzione di una generazione (quella degli I-gen ovvero degli iperconnessi i ragazzi nati cioè intorno al 2000) in seguito all’avvento degli smartphone. La mia lettura è un po’ più articolata: sembra che l’avvento degli smartphone e dei social media stia mettendo invece in seria difficoltà le generazioni precedenti (leggasi i genitori) che ricorrono spesso a questi sistemi per “silenziare” i propri figli. Un recente articolo uscito su Pediatrics evidenzia che più i caregivers sono assorbiti nell’uso dello smartphone e più sono propensi ad usare metodi coercitivi con i ragazzi. Dare il buon esempio non è affatto semplice».

I ragazzi e la scuola. Come si possono motivare i più giovani allo studio?

«Promuovere l’indipendenza dei figli comporta tempo e fatica da parte dei genitori e il lavoro di incoraggiamento nei confronti di un comportamento positivo è altrettanto importante di quello che ha a che fare con la punizione di un comportamento negativo. Non basta dire “non ti faccio uscire il fine settimana se la sera non vai a dormire in orario”, se poi si passa la maggior parte del proprio tempo con il naso sullo smartphone e ci si addormenta sul divano, piuttosto che a letto a tarda notte».

Perché le ragazze avvertono un malessere superiore rispetto ai coetanei maschi?

«L’adolescenza da sempre ha determinato un’ apertura della forbice delle differenze tra maschi e femmine in termini di benessere bio-psico sociale. Le ragioni sono da attribuire evidentemente a fattori di natura biologica ed ormonale che in questa fase del ciclo di vita sono davvero rilevanti».

Qualche consiglio per aiutare i giovani a ritrovare il benessere psicologico?

«Ascoltarli. Trovare degli spazi per loro in cui però la presenza dell’adulto sia davvero significativa. Le basi di un buon rapporto con i figli sono da ricercare nella fase precedente a quella adolescenziale. Un altro recente articolo comparso su Pediatrics mette in evidenza come il segreto di una famiglia felice stia nel leggere libri ad alta voce ai bambini, anche se sanno farlo già da soli».

Perché la lettura insieme ha un valore così alto nell’avvicinare genitori e figli?

«La lettura condivisa è un ottimo sostegno allo sviluppo cognitivo del bambino, aiuta a far crescere le capacità di prestare attenzione e cooperazione e serve come opportunità di legame affettivo. Nelle fasi successive (in particolare quella preadolescenziale), la lettura condivisa può mettere la famiglia nelle condizioni di avere delle conversazioni che sui temi dei libri che aiutano i ragazzi a dare un senso al mondo e comunque a saper argomentare le proprie idee con gli adulti».

Riempire di attività il pomeriggio dei ragazzi è sempre una buona idea?

«Funziona la regola del buon senso. Rimbalzare i ragazzi tra mille attività rischia di restituire alle stesse attività poco significato. Creare degli spazi vuoti tra un’attività è l’altra è davvero fondamentale per costruire significato e senso nella vita. Nella società dove (almeno prima del lockdown) l'imperativo categorico era correre e non avanzare tempo, è invece importante abituare i ragazzi a gestire il tempo e un po’ anche la noia. Per ritrovare se stessi e scoprire il proprio mondo interiore».

Cosa si può fare a livello istituzionale per aiutare i nostri ragazzi?

«La scuola e le istituzioni hanno bisogno di rivedere le modalità con cui si interfacciano con i giovani. Le nuove tecnologie da questo punto di vista stanno mettendo in difficoltà molto più gli insegnanti che gli studenti. La mia opinione però è che si continui a guardare agli adolescenti come a delle persone che non sono in grado di dare un contributo. In tutti i paesi coinvolti nella ricerca HBSC si danno notevoli spazi ai ragazzi per discutere ad esempio i risultati della ricerca, cosa che in Italia ancora è lontana dal venire. Se si considera poi la modalità con cui è stato affrontato questo periodo di lockdown, beh è evidente che la voce dei ragazzi oltre a non esser stata ascoltata non è stata nemmeno interpellata».

A maggio l’Ufficio regionale europeo dell’OMS ha pubblicato il report Spotlight on Adolescent Health and well-being, una dettagliata panoramica sulla salute fisica, sulle relazioni sociali e sul benessere psicologico di 227.441 ragazzi di 11, 13, e 15 anni in 45 Paesi del mondo. Il report è allestito con i dati che vengono raccolti ogni 4 anni: la ricerca per l’Italia è coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità e dalle Università degli Studi di Padova, Torino e Siena.

Dal report emerge che i ragazzi italiani nelle tre fasce di età considerate sono fra i peggiori per consumo di frutta e verdura. Sempre nelle tre fasce di età i nostri ragazzi sono quelli che denunciano la più alta prevalenza di sintomi somatici e psicologici. A denunciare questo nervosismo di fondo sono soprattutto le ragazze.

Gli adolescenti italiani, infine, mostrano anche di essere fra i più attivi nell’usare le nuove tecnologie per le relazioni sociali. Come leggere questa grossa mole di dati? Abbiamo provato a farlo con l’aiuto del Prof. Alessio Vieno del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università degli Studi di Padova, Principal Investigator per l’Italia per questo progetto.

Professor Vieno, come spiega il dato secondo il quale i ragazzi italiani mangiano in modo non corretto, nonostante vivano nel Paese della dieta mediterranea?

«Più che di un abbandono delle buone abitudini della dieta mediterranea da parte dei nostri ragazzi analizzando a fondo i dati, emerge che lo scarso consumo di frutta e verdura più che ai ragazzi in generale è un problema ascrivibile agli strati più svantaggiati della popolazione. Se da un lato quindi possiamo osservare come questo fenomeno sia in espansione, dobbiamo anche dire che sembra legato più ad un aumento delle disparità che ad un cambio nelle nostre abitudini alimentari. E’ probabile dunque che, oltre ad una differente sensibilità, ad uno stile di vita salutare, ci possa essere anche una certa difficoltà ad approvvigionarsi con cibi salutari da parte dei ceti più svantaggiati dal punto di vista sociale ed economico. Non solo però a causa di una scarsa disponibilità economica, ma perché manca la consapevolezza dell’importanza di strutturare la propria alimentazione non dimenticandosi di frutta e verdura fresca».

Spesso i ragazzi dormono male: l’uso dei dispositivi tecnologici di sicuro influisce. Il ruolo dei genitori in questo scenario?

«Alcuni colleghi negli Stati Uniti parlano addirittura della distruzione di una generazione (quella degli I-gen ovvero degli iperconnessi i ragazzi nati cioè intorno al 2000) in seguito all’avvento degli smartphone. La mia lettura è un po’ più articolata: sembra che l’avvento degli smartphone e dei social media stia mettendo invece in seria difficoltà le generazioni precedenti (leggasi i genitori) che ricorrono spesso a questi sistemi per “silenziare” i propri figli. Un recente articolo uscito su Pediatrics evidenzia che più i caregivers sono assorbiti nell’uso dello smartphone e più sono propensi ad usare metodi coercitivi con i ragazzi. Dare il buon esempio non è affatto semplice».

I ragazzi e la scuola. Come si possono motivare i più giovani allo studio?

«Promuovere l’indipendenza dei figli comporta tempo e fatica da parte dei genitori e il lavoro di incoraggiamento nei confronti di un comportamento positivo è altrettanto importante di quello che ha a che fare con la punizione di un comportamento negativo. Non basta dire “non ti faccio uscire il fine settimana se la sera non vai a dormire in orario”, se poi si passa la maggior parte del proprio tempo con il naso sullo smartphone e ci si addormenta sul divano, piuttosto che a letto a tarda notte».

Perché le ragazze avvertono un malessere superiore rispetto ai coetanei maschi?

«L’adolescenza da sempre ha determinato un’ apertura della forbice delle differenze tra maschi e femmine in termini di benessere bio-psico sociale. Le ragioni sono da attribuire evidentemente a fattori di natura biologica ed ormonale che in questa fase del ciclo di vita sono davvero rilevanti».

Qualche consiglio per aiutare i giovani a ritrovare il benessere psicologico?

«Ascoltarli. Trovare degli spazi per loro in cui però la presenza dell’adulto sia davvero significativa. Le basi di un buon rapporto con i figli sono da ricercare nella fase precedente a quella adolescenziale. Un altro recente articolo comparso su Pediatrics mette in evidenza come il segreto di una famiglia felice stia nel leggere libri ad alta voce ai bambini, anche se sanno farlo già da soli».

Perché la lettura insieme ha un valore così alto nell’avvicinare genitori e figli?

«La lettura condivisa è un ottimo sostegno allo sviluppo cognitivo del bambino, aiuta a far crescere le capacità di prestare attenzione e cooperazione e serve come opportunità di legame affettivo. Nelle fasi successive (in particolare quella preadolescenziale), la lettura condivisa può mettere la famiglia nelle condizioni di avere delle conversazioni che sui temi dei libri che aiutano i ragazzi a dare un senso al mondo e comunque a saper argomentare le proprie idee con gli adulti».

Riempire di attività il pomeriggio dei ragazzi è sempre una buona idea?

«Funziona la regola del buon senso. Rimbalzare i ragazzi tra mille attività rischia di restituire alle stesse attività poco significato. Creare degli spazi vuoti tra un’attività è l’altra è davvero fondamentale per costruire significato e senso nella vita. Nella società dove (almeno prima del lockdown) l'imperativo categorico era correre e non avanzare tempo, è invece importante abituare i ragazzi a gestire il tempo e un po’ anche la noia. Per ritrovare se stessi e scoprire il proprio mondo interiore».

Cosa si può fare a livello istituzionale per aiutare i nostri ragazzi?

«La scuola e le istituzioni hanno bisogno di rivedere le modalità con cui si interfacciano con i giovani. Le nuove tecnologie da questo punto di vista stanno mettendo in difficoltà molto più gli insegnanti che gli studenti. La mia opinione però è che si continui a guardare agli adolescenti come a delle persone che non sono in grado di dare un contributo. In tutti i paesi coinvolti nella ricerca HBSC si danno notevoli spazi ai ragazzi per discutere ad esempio i risultati della ricerca, cosa che in Italia ancora è lontana dal venire. Se si considera poi la modalità con cui è stato affrontato questo periodo di lockdown, beh è evidente che la voce dei ragazzi oltre a non esser stata ascoltata non è stata nemmeno interpellata».