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In questi giorni è tornato al centro deldibattito politico l’ospedale romano “Carlo Forlanini”, dedicato al grande medico inventore del pneumotorace, tecnica che salvò moltissimi tubercolotici.

Senza entrare nel merito della questione, vale la pena conoscere che genere di straordinaria opera pubblica fu questo ospedale, la più grande struttura al mondo dedicata esclusivamente alla cura delle malattie polmonari. Fino al 1950, anno in cui fu messo a punto il primo antibiotico efficace sul Mycobacterium tubercolosis complex, tale malattia era un vero flagello, paragonabile a quello che potrebbe essere, oggi, il cancro.

Dopo la Grande Guerra, col ritorno dei soldati dalle trincee, la situazione sanitaria italiana si era particolarmente aggravata, così, dal 1923, lo Stato promulgò una serie di decreti e iniziative per contrastare l’avanzata della malattia riscuotendo significativi risultati, tanto che, già nel 1931, l’Istat dell’epoca avrebbe registrato una diminuzione dei malati di quasi di un terzo.

I professori Eugenio Morelli e Carlo Forlanini

1. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale, potevano contarsi 94 Dispensari Antitubercolari Provinciali e 419 Sezioni Dispensariali distribuiti sull’intero territorio nazionale. Dal 1925, il professor Eugenio Morelli aveva promosso l’edificazione di una catena di sanatori provinciali per curare e isolare i malati in modo che non contagiassero le persone sane. Enormi erano, infatti, le ripercussioni sociali ed economiche della Tbc che falcidiava gli operai delle fabbriche e comportava anche gravi spese per l’erario a causa delle assicurazioni che tutelavano le famiglie dei malati.

Fu così che la stessa “Confederazione fascista degli industriali” stanziò un contributo iniziale di ben 3 milioni di lire per la costruzione, a Roma, di una grandioso sanatorio affidato agli ingegneri Ugo Giovannozzi, per la parte artistica, e a Giulio Marconigi e Ferdinando Poggi per la parte tecnica.

2. In soli quattro anni, dal 1930 al ’34, fu realizzata, in un complesso di 280.000 mq, una sorta di “astronave” con planimetria a ferro di cavallo, unica in Italia, che assicurava aria e luce per le camere dei circa 2000 degenti previsti (che in certi periodi arrivarono al numero record di 4000). Le stanze erano collegate fra loro da una lunghissima balconata sulla quale si poteva passeggiare, prendendo aria e sole. Lungo i viali (illuminati di notte) erano state piantate migliaia di alberi ad alto fusto tra i quali diverse essenze esotiche che imbalsamavano l’aria. Dal Ginkgo Biloba a rare specie di palma, secondo diversi naturalisti il parco del Forlanini costituisce ancor oggi un palinsesto storico-botanico di altissimo pregio.

Le verande della strutura nel 1934. Gentile concessione dell’archivio Inps

3. Il Sanatorio, inizialmente intitolato a Benito Mussolini e poi a Carlo Forlanini, era stato costruito in base ai criteri terapeutici dell’epoca che prevedevano per la cura della Tbc soprattutto rimedi empirici, come la salubrità dell’aria, l’esposizione alla luce solare (in base ai principi dell’elioterapia), la spaziosità degli ambienti e la ricchezza dell’alimentazione, radicalmente imperniata sulle proteine animali. I medicinali somministrati erano soprattutto a base di calcio e di estratti epatici, ma per lo più, nella lotta disperata contro questo morbo, si cercava di puntare al benessere del malato in tutte le sue forme, materiali, spirituali e psicologiche.

4. Lo sforzo logistico per il nutrimento dei malati era impressionante, basti pensare alle cucine. Ve ne erano sei; quella centrale era la più grande e moderna del mondo: immensa, di circa 1800 mq, maiolicata, con attrezzature di prim’ordine, dotata di 6 grandi fuochi, 7 tavole calde a vapore, 2 pentoloni per la bollitura del latte da 1000 l ciascuno. La cucina disponeva di varie colonne aerotermiche che potevano espellere 30.00 metri cubi di fumi provenienti dalla cottura del cibo giornaliero che ammontava a circa 600 k di pasta, 200 kg di verdure, 100 kg di carne.

La cucine del Forlanini. immagine da filmato dell’istituto Luce

5. Uno dei ritrovati più moderni era il trasporto dei materiali (fossero biancheria, merci, strumenti, cibo) che avveniva per mezzo di una fitta rete di carrelli a cremagliera coordinati da un sistema a bottoneria: come una sorta di trenini elettrici, smistavano il necessario lungo un percorso di 3 km. Si poteva controllare su dei pannelli luminosi la posizione dei carrelli all’interno dell’ospedale.

Automatizzato e avanzatissimo era anche il sistema di ricerca del personale, all’interno del quale si contavano, all’inaugurazione dell’ospedale, 100 medici, 17 tecnici, 30 caposala, 82 infermiere e altri 900 fra cuochi, giardinieri, elettricisti, falegnami, artigiani, operai e guardie armate.

Un complesso sistema cercapersone aveva disseminato più di 40 segnalatori ottici all’interno della struttura: si trattava di una specie di “semafori” a quattro colori, dotati di campanelli che servivano a convocare il tipo di personale ove fosse richiesto.

6. In questi giorni di crisi l’Istituto Luce ha messo gratuitamente a disposizione del pubblico i propri archivi. Riportiamo uno dei cinegiornali dell’epoca che mostra alcune preziose immagini dell’organizzazione interna:

7. Il complesso era poi dotato di 2 teatri, un cinema, un’aula magna, campi di bocce, biliardi, centrale termica, scuole per bambini, emittente radiofonica, barbiere, parrucchiere, refettori, cantine per vino, canile, etc.

Una particolare attenzione era dedicata al conforto spirituale dei degenti con 2 chiese, tra cui quella del Santissimo Crocifisso, che conserva le reliquie di San Giuseppe Moscati, medico dei poveri dei primi del secolo. Il personale religioso contava 9 cappellani, 15 suore, 20 suore-infermiere. Ogni camera recava appesi due crocifissi e ogni letto era dotato di cuffie che consentivano di ascoltare la Messa.

Questi dispositivi, allora di grande novità, trasmettevano però anche la musica dell’epoca, da Rabagliati, a Carlo Buti, al Trio Lescano e, ancora, registrazioni di precettistica sanitaria, notiziari, fino, naturalmente, ai discorsi del Duce.

8. Tutto il complesso è di notevolissimo interesse storico e culturale: in tal senso si è espresso il Mibact nel 2017. Ancora conservato, ma a serio rischio, lo straordinario Museo Anatomico, con più di 2000 reperti allestiti per volontà del prof. Morelli su 1200 metri quadrati.

Negli ampi atri posti all’ingresso, spiccano per pregio i bassorilievi di Arrigo Minerbi - lo scultore amico di Gabriele D’Annunzio – ch illustrano scene di lavoro e di vita familiare. Le architetture sono così scenografiche che spesso sono state scelte come location per documentari e film.

9. Infine, persino nel sottosuolo, il Forlanini nasconde pregi insospettati. Il sanatorio fu costruito con il tufo ricavato dal luogo stesso; quest’opera di scavo ricavò un sotterraneo alto circa 10 m che venne utilizzato sia come deposito dei viveri, sia come rifugio antiaereo durante la guerra. L’ambiente venne presto invaso da acqua di falda, potabilissima e paragonabile, per purezza, a quella di un lago appenninico. Fin da subito venne utilizzata per l’alimentazione idrica della struttura, poi, nel corso dei decenni fu destinata all’irrigazione del parco. Parrebbe, inoltre, che il lago sia collegato direttamente al Tevere.

10. Alla costruzione del Forlanini a Roma, succedette il sanatorio “Principe di Piemonte a Napoli (1938, oggi ospedale Monaldi), il Villaggio sanatoriale di Sondalo (1938) in Valtellina. Quest’ultimo è al centro di una petizione per evitarne la chiusura. Si tratta, in genere, di grandi strutture importanti da mantenere, ma collocate in posizioni strategiche. Restano, in ogni caso, testimonianze storiche importanti dell’impegno con cui il nostro Paese affrontò una piaga sociale che oggi, purtroppo si ripresenta sotto altre forme.

Andrea Cionci

In questi giorni è tornato al centro deldibattito politico l’ospedale romano “Carlo Forlanini”, dedicato al grande medico inventore del pneumotorace, tecnica che salvò moltissimi tubercolotici.

Senza entrare nel merito della questione, vale la pena conoscere che genere di straordinaria opera pubblica fu questo ospedale, la più grande struttura al mondo dedicata esclusivamente alla cura delle malattie polmonari. Fino al 1950, anno in cui fu messo a punto il primo antibiotico efficace sul Mycobacterium tubercolosis complex, tale malattia era un vero flagello, paragonabile a quello che potrebbe essere, oggi, il cancro.

Dopo la Grande Guerra, col ritorno dei soldati dalle trincee, la situazione sanitaria italiana si era particolarmente aggravata, così, dal 1923, lo Stato promulgò una serie di decreti e iniziative per contrastare l’avanzata della malattia riscuotendo significativi risultati, tanto che, già nel 1931, l’Istat dell’epoca avrebbe registrato una diminuzione dei malati di quasi di un terzo.

I professori Eugenio Morelli e Carlo Forlanini

1. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale, potevano contarsi 94 Dispensari Antitubercolari Provinciali e 419 Sezioni Dispensariali distribuiti sull’intero territorio nazionale. Dal 1925, il professor Eugenio Morelli aveva promosso l’edificazione di una catena di sanatori provinciali per curare e isolare i malati in modo che non contagiassero le persone sane. Enormi erano, infatti, le ripercussioni sociali ed economiche della Tbc che falcidiava gli operai delle fabbriche e comportava anche gravi spese per l’erario a causa delle assicurazioni che tutelavano le famiglie dei malati.

Fu così che la stessa “Confederazione fascista degli industriali” stanziò un contributo iniziale di ben 3 milioni di lire per la costruzione, a Roma, di una grandioso sanatorio affidato agli ingegneri Ugo Giovannozzi, per la parte artistica, e a Giulio Marconigi e Ferdinando Poggi per la parte tecnica.

2. In soli quattro anni, dal 1930 al ’34, fu realizzata, in un complesso di 280.000 mq, una sorta di “astronave” con planimetria a ferro di cavallo, unica in Italia, che assicurava aria e luce per le camere dei circa 2000 degenti previsti (che in certi periodi arrivarono al numero record di 4000). Le stanze erano collegate fra loro da una lunghissima balconata sulla quale si poteva passeggiare, prendendo aria e sole. Lungo i viali (illuminati di notte) erano state piantate migliaia di alberi ad alto fusto tra i quali diverse essenze esotiche che imbalsamavano l’aria. Dal Ginkgo Biloba a rare specie di palma, secondo diversi naturalisti il parco del Forlanini costituisce ancor oggi un palinsesto storico-botanico di altissimo pregio.

Le verande della strutura nel 1934. Gentile concessione dell’archivio Inps

3. Il Sanatorio, inizialmente intitolato a Benito Mussolini e poi a Carlo Forlanini, era stato costruito in base ai criteri terapeutici dell’epoca che prevedevano per la cura della Tbc soprattutto rimedi empirici, come la salubrità dell’aria, l’esposizione alla luce solare (in base ai principi dell’elioterapia), la spaziosità degli ambienti e la ricchezza dell’alimentazione, radicalmente imperniata sulle proteine animali. I medicinali somministrati erano soprattutto a base di calcio e di estratti epatici, ma per lo più, nella lotta disperata contro questo morbo, si cercava di puntare al benessere del malato in tutte le sue forme, materiali, spirituali e psicologiche.

4. Lo sforzo logistico per il nutrimento dei malati era impressionante, basti pensare alle cucine. Ve ne erano sei; quella centrale era la più grande e moderna del mondo: immensa, di circa 1800 mq, maiolicata, con attrezzature di prim’ordine, dotata di 6 grandi fuochi, 7 tavole calde a vapore, 2 pentoloni per la bollitura del latte da 1000 l ciascuno. La cucina disponeva di varie colonne aerotermiche che potevano espellere 30.00 metri cubi di fumi provenienti dalla cottura del cibo giornaliero che ammontava a circa 600 k di pasta, 200 kg di verdure, 100 kg di carne.

La cucine del Forlanini. immagine da filmato dell’istituto Luce

5. Uno dei ritrovati più moderni era il trasporto dei materiali (fossero biancheria, merci, strumenti, cibo) che avveniva per mezzo di una fitta rete di carrelli a cremagliera coordinati da un sistema a bottoneria: come una sorta di trenini elettrici, smistavano il necessario lungo un percorso di 3 km. Si poteva controllare su dei pannelli luminosi la posizione dei carrelli all’interno dell’ospedale.

Automatizzato e avanzatissimo era anche il sistema di ricerca del personale, all’interno del quale si contavano, all’inaugurazione dell’ospedale, 100 medici, 17 tecnici, 30 caposala, 82 infermiere e altri 900 fra cuochi, giardinieri, elettricisti, falegnami, artigiani, operai e guardie armate.

Un complesso sistema cercapersone aveva disseminato più di 40 segnalatori ottici all’interno della struttura: si trattava di una specie di “semafori” a quattro colori, dotati di campanelli che servivano a convocare il tipo di personale ove fosse richiesto.

6. In questi giorni di crisi l’Istituto Luce ha messo gratuitamente a disposizione del pubblico i propri archivi. Riportiamo uno dei cinegiornali dell’epoca che mostra alcune preziose immagini dell’organizzazione interna:

7. Il complesso era poi dotato di 2 teatri, un cinema, un’aula magna, campi di bocce, biliardi, centrale termica, scuole per bambini, emittente radiofonica, barbiere, parrucchiere, refettori, cantine per vino, canile, etc.

Una particolare attenzione era dedicata al conforto spirituale dei degenti con 2 chiese, tra cui quella del Santissimo Crocifisso, che conserva le reliquie di San Giuseppe Moscati, medico dei poveri dei primi del secolo. Il personale religioso contava 9 cappellani, 15 suore, 20 suore-infermiere. Ogni camera recava appesi due crocifissi e ogni letto era dotato di cuffie che consentivano di ascoltare la Messa.

Questi dispositivi, allora di grande novità, trasmettevano però anche la musica dell’epoca, da Rabagliati, a Carlo Buti, al Trio Lescano e, ancora, registrazioni di precettistica sanitaria, notiziari, fino, naturalmente, ai discorsi del Duce.

8. Tutto il complesso è di notevolissimo interesse storico e culturale: in tal senso si è espresso il Mibact nel 2017. Ancora conservato, ma a serio rischio, lo straordinario Museo Anatomico, con più di 2000 reperti allestiti per volontà del prof. Morelli su 1200 metri quadrati.

Negli ampi atri posti all’ingresso, spiccano per pregio i bassorilievi di Arrigo Minerbi - lo scultore amico di Gabriele D’Annunzio – ch illustrano scene di lavoro e di vita familiare. Le architetture sono così scenografiche che spesso sono state scelte come location per documentari e film.

9. Infine, persino nel sottosuolo, il Forlanini nasconde pregi insospettati. Il sanatorio fu costruito con il tufo ricavato dal luogo stesso; quest’opera di scavo ricavò un sotterraneo alto circa 10 m che venne utilizzato sia come deposito dei viveri, sia come rifugio antiaereo durante la guerra. L’ambiente venne presto invaso da acqua di falda, potabilissima e paragonabile, per purezza, a quella di un lago appenninico. Fin da subito venne utilizzata per l’alimentazione idrica della struttura, poi, nel corso dei decenni fu destinata all’irrigazione del parco. Parrebbe, inoltre, che il lago sia collegato direttamente al Tevere.

10. Alla costruzione del Forlanini a Roma, succedette il sanatorio “Principe di Piemonte a Napoli (1938, oggi ospedale Monaldi), il Villaggio sanatoriale di Sondalo (1938) in Valtellina. Quest’ultimo è al centro di una petizione per evitarne la chiusura. Si tratta, in genere, di grandi strutture importanti da mantenere, ma collocate in posizioni strategiche. Restano, in ogni caso, testimonianze storiche importanti dell’impegno con cui il nostro Paese affrontò una piaga sociale che oggi, purtroppo si ripresenta sotto altre forme.

Andrea Cionci