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La prima campanella è suonata per ora soltanto nella Provincia di Trento (il 3 settembre, scuola per l’infanzia), in Lombardia (il 7, scuola per l’infanzia) e in Alto Adige (il 7, per tutti). Ma in quasi tutta Italia - a eccezione del Friuli Venezia Giulia (16), della Sardegna (22), della Puglia e della Basilicata (24) - occorrerà aspettare lunedì prossimo per vedere entrare bambini e ragazzi per la prima volta a scuola, dopo oltre sei mesi. L’appuntamento è da una parte molto atteso, dall’altro anche temuto dai genitori: alla luce della nuova crescita dei contagi provocati dal coronavirus (Sars-CoV-2). Da qui i tanti dubbi che attanagliano la mente delle mamme e dei papà. Per aiutarli, abbiamo chiesto la collaborazione di Susanna Esposito, direttore della clinica pediatrica dell’azienda ospedaliero-universitaria di Parma e presidente dell’Associazione Mondiale per lo Studio delle Malattie Infettive e Autoimmuni (WAidid).

Come aiutare i genitori a distinguere un banale raffreddore da una sindrome influenzale o da una possibile infezione da Sars-CoV-2?

«Rispondere a questa domanda non è semplice - esordisce l'esperta, ordinario di pediatria -. Quando non sono asintomatici, situazione che oggi sappiamo essere piuttosto frequente, i bambini con l’infezione da Sars-CoV-2 manifestano sintomi molto simili a quelli dell’influenza: con febbre anche fino a 38. Meno marcata, rispetto a quanto si rileva nell’adulto, risulta invece la perdita del gusto e dell’olfatto. Diversi studi hanno inoltre evidenziato che i bambini positivi al coronavirus possono manifestare anche sintomi gastrointestinali: quali il vomito e la diarrea. Al di là di queste lievi differenze, però, i sintomi provocati dal Covid nei bambini e dall’influenza sono molto simili. Ragion per cui, quando la temperatura supera la soglia di 37, occorre evitare l’autodiagnosi e consultare il proprio pediatra di riferimento».

In quali casi, allora, bisognerà sospettare maggiormente una possibile infezione da Sars-CoV-2?

«I sintomi descritti, da soli, difficilmente basteranno a formulare una corretta diagnosi. Molto importante sarà anche considerare la realtà epidemiologica in cui si vive. Se un bambino frequenta una scuola in cui si sono già registrati diversi contagi a opera del coronavirus, bisognerà pensare fin da subito a un’infezione da Sars-CoV-2. Per questo la sinergia tra le famiglie e i pediatri sarà ancora più importante, nel corso dei prossimi autunno e inverno. Fermo restando che, per risolvere il dubbio, si dovrà ricorrere al tampone orofaringeo».

Cosa dovranno fare i genitori nel momento in cui il proprio figlio dovesse mostrare uno dei sintomi descritti?

«In caso di febbre, i bambini dovranno essere sempre tenuti a casa per almeno 3-5 giorni: fino a quando non saranno svaniti i sintomi. L’altro elemento da considerare è che le possibili manifestazioni delle infezioni respiratorie cambiano a seconda delle età. Nel caso dei nidi e delle scuole materne, al di là della possibile causa, occorrerà tenere a casa i bambini che manifestano sintomi acuti legati a una possibile infezione delle vie respiratorie: anche se in assenza di febbre. Questa indicazione vale al di là del virus responsabile, poiché i più piccoli hanno la capacità di diffonderli in maniera prolungata nel tempo. Con gli adolescenti, invece, le altre infezioni si manifestano in maniera più blanda. Ma nel momento in cui dovessero comparire, è importante che anche loro vengano tenuti a casa. Ponendo, naturalmente, attenzione all, insorgenza della tosse persistente».

Ci sono dei casi in cui i genitori possono gestire queste situazioni senza consultare il pediatra?
«L’autodiagnosi è sempre da evitare: sia per la corretta gestione del problema di un bambino sia perché occorre tenere presente le diverse possibili reazioni emotive da parte dei genitori. Fondamentale, ancora una volta, sarà il rapporto con i pediatri di libera scelta. Il loro contributo sarà decisivo anche per evitare il sovraffollamento dei pronto soccorso e la corretta gestione delle infezioni da Sars-CoV-2: sul piano clinico e su quello sociale, dal momento che quando un bambino si positivizza è necessario che un familiare sia sempre al suo fianco».

Twitter @fabioditodaro

La prima campanella è suonata per ora soltanto nella Provincia di Trento (il 3 settembre, scuola per l’infanzia), in Lombardia (il 7, scuola per l’infanzia) e in Alto Adige (il 7, per tutti). Ma in quasi tutta Italia - a eccezione del Friuli Venezia Giulia (16), della Sardegna (22), della Puglia e della Basilicata (24) - occorrerà aspettare lunedì prossimo per vedere entrare bambini e ragazzi per la prima volta a scuola, dopo oltre sei mesi. L’appuntamento è da una parte molto atteso, dall’altro anche temuto dai genitori: alla luce della nuova crescita dei contagi provocati dal coronavirus (Sars-CoV-2). Da qui i tanti dubbi che attanagliano la mente delle mamme e dei papà. Per aiutarli, abbiamo chiesto la collaborazione di Susanna Esposito, direttore della clinica pediatrica dell’azienda ospedaliero-universitaria di Parma e presidente dell’Associazione Mondiale per lo Studio delle Malattie Infettive e Autoimmuni (WAidid).

Come aiutare i genitori a distinguere un banale raffreddore da una sindrome influenzale o da una possibile infezione da Sars-CoV-2?

«Rispondere a questa domanda non è semplice - esordisce l'esperta, ordinario di pediatria -. Quando non sono asintomatici, situazione che oggi sappiamo essere piuttosto frequente, i bambini con l’infezione da Sars-CoV-2 manifestano sintomi molto simili a quelli dell’influenza: con febbre anche fino a 38. Meno marcata, rispetto a quanto si rileva nell’adulto, risulta invece la perdita del gusto e dell’olfatto. Diversi studi hanno inoltre evidenziato che i bambini positivi al coronavirus possono manifestare anche sintomi gastrointestinali: quali il vomito e la diarrea. Al di là di queste lievi differenze, però, i sintomi provocati dal Covid nei bambini e dall’influenza sono molto simili. Ragion per cui, quando la temperatura supera la soglia di 37, occorre evitare l’autodiagnosi e consultare il proprio pediatra di riferimento».

In quali casi, allora, bisognerà sospettare maggiormente una possibile infezione da Sars-CoV-2?

«I sintomi descritti, da soli, difficilmente basteranno a formulare una corretta diagnosi. Molto importante sarà anche considerare la realtà epidemiologica in cui si vive. Se un bambino frequenta una scuola in cui si sono già registrati diversi contagi a opera del coronavirus, bisognerà pensare fin da subito a un’infezione da Sars-CoV-2. Per questo la sinergia tra le famiglie e i pediatri sarà ancora più importante, nel corso dei prossimi autunno e inverno. Fermo restando che, per risolvere il dubbio, si dovrà ricorrere al tampone orofaringeo».

Cosa dovranno fare i genitori nel momento in cui il proprio figlio dovesse mostrare uno dei sintomi descritti?

«In caso di febbre, i bambini dovranno essere sempre tenuti a casa per almeno 3-5 giorni: fino a quando non saranno svaniti i sintomi. L’altro elemento da considerare è che le possibili manifestazioni delle infezioni respiratorie cambiano a seconda delle età. Nel caso dei nidi e delle scuole materne, al di là della possibile causa, occorrerà tenere a casa i bambini che manifestano sintomi acuti legati a una possibile infezione delle vie respiratorie: anche se in assenza di febbre. Questa indicazione vale al di là del virus responsabile, poiché i più piccoli hanno la capacità di diffonderli in maniera prolungata nel tempo. Con gli adolescenti, invece, le altre infezioni si manifestano in maniera più blanda. Ma nel momento in cui dovessero comparire, è importante che anche loro vengano tenuti a casa. Ponendo, naturalmente, attenzione all, insorgenza della tosse persistente».

Ci sono dei casi in cui i genitori possono gestire queste situazioni senza consultare il pediatra?
«L’autodiagnosi è sempre da evitare: sia per la corretta gestione del problema di un bambino sia perché occorre tenere presente le diverse possibili reazioni emotive da parte dei genitori. Fondamentale, ancora una volta, sarà il rapporto con i pediatri di libera scelta. Il loro contributo sarà decisivo anche per evitare il sovraffollamento dei pronto soccorso e la corretta gestione delle infezioni da Sars-CoV-2: sul piano clinico e su quello sociale, dal momento che quando un bambino si positivizza è necessario che un familiare sia sempre al suo fianco».

Twitter @fabioditodaro