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Disporre un cervello virtuale su cui testare l’efficacia di nuovi interventi terapeutici o di prevenzione significherebbe accelerare notevolmente la ricerca di una cura per le patologie neurologiche. Simulare il cervello è uno degli obiettivi dello «Human Brain Project» progetto da 1,2 miliardi di euro finanziato dall’Europa in 10 anni e che vede al lavoro 120 laboratori europei, di cui 16 unità italiane.

Con i suoi mille miliardi di neuroni, cifra da moltiplicare per almeno mille volte per ottenere il numero delle sinapsi, il nostro encefalo è un organo complesso. Per conoscerlo bisogna superare la frammentazione delle discipline e degli sforzi. Inoltre, e questo è l’approccio di «Human Brain», è necessario arrivare a un modello matematico. «Oggi non abbiamo una teoria generale del cervello e del suo funzionamento da mettere alla prova dei fatti. Ci mancano ancora troppi pezzi del puzzle. Per procedere serve una collaborazione sistematica dall’organizzazione multiscala», spiega il neurofisiologo Egidio D’Angelo, del dipartimento di Brain and Behavioural Sciences dell’Università di Pavia, a margine dell’incontro di tutte le unità italiane coinvolte nell’iniziativa.

Il sistema nervoso centrale è dotato di una peculiare e forte interconnessione tra i suoi elementi costitutivi. Ma la complessa circuiteria neurale è frutto dell’evoluzione biologica e potrebbe essere quindi, più che al disegno di un ingegnere, molto più simile ad un’opera di modifica e assemblaggio di pezzi che si sono via via resi disponibili. Come arrivare ad un modello del tutto, allora, non conoscendone le parti e le logiche di assembramento?

«“Human Brain Project” procede seguendo una modellizzazione “bottom-up”: non imponiamo al sistema la nostra concezione architettonica, ma partiamo dalle misurazioni in laboratorio, vale a dire dalla conoscenza molecolare e cellulare. Il nostro modello deve, poi, incorporare tutti i livelli di complessità possibile e, quindi, “costruiti” i singoli neuroni, ora ne stiamo simulando la connettività», aggiunge D’Angelo che è il coordinatore per tutto il progetto dello sviluppo di modelli dei microcircuiti cerebrali. Gli scienziati hanno già creato i primi modelli della corteccia e sono in fase di completamento ippocampo, cervelletto e gangli della base. Tutti verificati sperimentalmente mediante misure a elevata tecnologia.

«Il prossimo passo sarà la creazione di strutture sempre più complesse e che si avvicineranno progressivamente a quella sorta di gigantesco bricolage evolutivo che ci troviamo a studiare e simulare», dice D’Angelo, che anticipa: «L’applicazione di tali modelli computazionali del funzionamento del cervello, attraverso la loro implementazione nei circuiti dei robot e in nuove architetture di calcolo neuromorfo, ci consentirà di condurre ricerche su un cervello virtuale». E di avere macchine potentissime nell’apprendimento e nel calcolo. Infatti, oltre all’avanzamento delle conoscenze neuroscientifiche e alla cura delle patologie del cervello, tra gli obiettivi dello «Human Brain Project» c’è anche lo sviluppo di nuove tecnologie biorobotiche e bioinformatiche.

«La robotica ha da sempre lavorato con la neurofisiologia, contribuendo alla comprensione dei meccanismi di elaborazione sensoriale e del comportamento e fornendo il banco di prova alle teorie», sottolinea Cecilia Laschi dell’Istituto di biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, partner del progetto. Ma che cosa significa dotare un robot di un cervello simile a quello dei mammiferi? «La sua programmazione è costituita da codici che non impartiscono regole, ma che simulano reti neurali e consentono così al neurorobot di imparare e disimparare dall’esperienza. Invece di rigide strategie comportamentali, incorporiamo delle regole di plasticità - dice Alessandra Pedrocchi del laboratorio di neuroingegneria e robotica medica del Politecnico di Milano, partner di “Human Brain” -. Macchine di questo tipo, robuste e ridondanti, sono fondamentali nell’interazione con l’uomo», dove a contare sono reattività e adattamento.

D’Angelo parla di «un cambiamento di paradigma nelle procedure di studio del cervello». Quanto ai dubbi sulla correttezza epistemologica di questo modo di procedere ribatte: «È una sfida. Anche se quest’approccio non portasse ad una “teoria del tutto” gli avanzamenti teorici e tecnologici che stiamo sviluppando saranno cruciali per qualunque futura ricerca».

@nicla_panciera

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