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Le giovani donne cui viene diagnosticato un tumore non devono per forza dire addio al sogno di avere un figlio. Sempre di più, infatti, in caso di malattia oncologica, ci si preoccupa di preservare la fertilità che potrebbe venire compromessa dalle terapie.

Per chi guarisce, la gravidanza non è più un miraggio. Ogni anno nel nostro Paese circa 8.000 cittadini under 40 sono colpiti da tumore, 30 ogni giorno, pari a circa il 3% del numero totale delle nuove diagnosi. Inoltre, l’età media della prima gravidanza oggi è arrivata sui 34-35 anni, quando è più facile una diagnosi di cancro alla mammella. Ma le capacità funzionali dell’ovaio si riducono nel tempo e il calo di fertilità è continuo, con la riduzione della riserva ovarica e della qualità degli ovociti.

«Sono tre gli aspetti che principalmente influenzano il potere riproduttivo - riassume il dottor Giacomo Corrado, oncologo ginecologo della Fondazione, Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma - Le terapie che la donna con diagnosi di tumore dovrà affrontare, l’età della paziente (più è giovane, più i trattamenti di preservazione della fertilità avranno successo) e, terzo, la sua riserva ovarica»

LE TECNICHE

La prima tecnica di preservazione della fertilità è la crioconservazione della corteccia ovarica: prevede il prelievo di pezzo di ovaio e la sua crioconservazione (in frigo a -200gradi) fino al reimpianto del tessuto, almeno cinque anni dopo la conclusione della terapia oncologica.

L’ovaio torna nel suo sito anatomico, si mantiene la funzione endocrina, si evitano gli effetti secondari tipici della menopausa precoce e si possono ottenere gestazioni spontanee.

«Questo è il metodo preferenziale per bambine in età pre-puberale e per le donne in cui si richiede l’inizio immediato della chemioterapia, senza possibilità di attendere il processo di stimolazione ovarica» ha spiegato il professor Pellicer, Professore Ordinario di Ostetricia e Ginecologia presso l’Università di Valencia.

«L’altra possibilità è la vitrificazione degli ovociti che permette di crioconservare gli ovuli maturi ottenuti dalla stimolazione ovarica». In caso di trattamento con la chemio, si deve comunque procedere con una protezione delle gonadi, con farmaci che diminuiscono l’effetto tossico della chemio sull’ovaio.

Come decidere quale strategia adottare? «Confrontando i risultati da noi ottenuti con le varie tecniche in termini di gravidanze e di percentuale di nati vivi, un lavoro apparso sulla rivista Fertility and Sterility – ha spiegato Pellicer – è possibile affermare che la vitrificazione di ovociti è il trattamento di preservazione della fertilità che sta dando i risultati migliori».

Quanto alla pericolosità di avviare una stimolazione ormonale in una donna con tumore, spiega il professor Giacomo Corrado: «Ci sono degli studi che mostrano come la stimolazione ovarica controllata su donne tumore mammella ormono-dipendente non altera il tasso di recidiva e sopravvivenza a 5 anni. I primi lavori risalgono al 2008 e sono apparsi sulla rivista degli oncologi americani». Infine, c’è sempre la possibilità della fecondazione eterologa.

INFORMARE. Quello su cui bisogna ancora lavorare è la cultura della preservazione della fertilità, perché spesso la consapevolezza manca anche tra gli stessi medici. È questo uno degli obiettivi del Registro di Procreazione Medicalmente Assistita dell’Istituto Superiore di Sanità: «Molto è stato fatto, moltissimo resta da fare. L’obiettivo è informare e fare in modo che ogni paziente che incontra il cancro abbia questo tipo di informazione, anche attraverso la creazione di reti di professionisti di diverse specialità» ha detto la responsabile, Giulia Scaravelli. Sul fronte della comunicazione molto è stato fatto anche dal volontariato, come l’Associazione Italiana Malati di Cancro AIMaC. Lo confermano le pubblicazioni «Madre dopo il cancro e preservazione della fertilità» e «Padre dopo il cancro» (https://www.aimac.it/libretti-tumore/madre-dopo-cancro).