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Dismenorrea, mal di testa, lombalgia o problematiche muscolo-scheletriche poco importa. Quel che è certo è che il dolore colpisce più intensamente, più a lungo e più di frequente le donne, che rispetto agli uomini rispondono diversamente anche ai trattamenti. Le ragioni di queste diversità tra i due generi, che compaiono a partire dalla pubertà, sono del tutto biologiche e risiedono nella diversa fisiologia dell’organismo maschile e femminile.

La ricerca e la clinica stanno scoprendo l’importanza di queste caratteristiche, anche ai fini di una maggior efficacia nei trattamenti antalgici. Anche di questo si parlerà nel corso della 2a Giornata Nazionale della Salute della Donna, indetta dal Ministro Lorenzin per domani 22 aprile, proprio con l’obiettivo di fare luce sulle problematiche di salute femminili e le specificità di genere.

LA DONNA È PIÙ COLPITA

Un’indagine svolta su oltre 85mila adulti in 17 Paesi di tutto il mondo ha evidenziato come una sintomatologia dolorosa cronica di qualsiasi tipo affligga il 45% delle donne, rispetto al 31,4% degli uomini, associandosi nell’8% dei casi a depressione. Un altro studio, condotto dalla Standford University su 11mila persone, ha mostrato che, in situazioni cliniche sovrapponibili, le femmine soffrirebbero il 20% in più dei maschi.

Nelle donne, poi, alcune patologie sono più ricorrenti: la fibromialgia lo è 6 volte di più rispetto agli uomini, la cefalea tensiva cronica 4 volte di più, il lupus fino a 9 volte, l’artrite reumatoide 2,5 volte in più, l’artrosi 3 volte di più intorno alla menopausa, l’emicrania 3 volte di più.

IL RUOLO DEGLI ORMONI

«Ciononostante, la donne ricevono molta meno attenzione diagnostica e terapeutica, ritrovandosi così costrette a soffrire di più e più a lungo, con l’avanzare dell’età» spiega Alessandra Graziottin, Direttore del Centro di Ginecologia presso l’Ospedale San Raffaele Resnati di Milano e Presidente della Fondazione Graziottin per la cura del dolore nella donna Onlus.

«Nel sesso femminile, dopo la pubertà le malattie infiammatorie e autoimmuni raddoppiano o addirittura triplicano per l’effetto degli ormoni sessuali sulle cellule che regolano le difese immunitarie; in particolare, la fluttuazione degli estrogeni legata al ciclo mestruale stimola la liberazione di sostanze infiammatorie nei tessuti, che peggiorano le eventuali infiammazioni in corso ed il dolore ad esse correlato».

Nonostante questa asimmetria di genere, gli studi clinici sono prevalentemente condotti sugli uomini, anche se «la farmacologia di genere esiste già come consapevolezza» spiega Diego Fornasari, Professore di Farmacologia dell’Università degli Studi di Milano, ma è «piuttosto recente e ancora priva di una gran mole di dati».

LE VIE DEL DOLORE

«Il dolore è un segnale di pericolo: può indicare un danno tissutale, la perdita di integrità fisica, una riduzione funzionale, ma anche essere segno di malattia» spiega Diego Fornasari. Il dolore può essere acuto o cronico, ma anche neuropatico, il meno noto. Il dolore neuropatico è una malattia invalidante che origina in seguito a lesioni del sistema nervoso che coinvolgono il sistema di trasmissione degli stimoli dolorosi e al cervello giungono segnali ingannevoli di lesione o infiammazione in atto.

Andiamo per ordine. Cosa accade quando ci feriamo un dito, ad esempio? L’impulso doloroso proviene dalle terminazioni nervose specifiche, deputate alla trasmissione degli stimoli dolorosi, che si trovano nel tessuto periferico danneggiato (ad esempio la pelle del dito) ed eccitano neuroni specifici del midollo spinale. Da qui l’impulso viaggia e si propaga attraverso vie parallele che coinvolgono contemporaneamente diversi centri sottocorticali e diverse regioni cerebrali. Questo spiega perché il segnale doloroso sia fortemente modulabile.

Nel caso del dolore cronico, ad esempio, può esserci una sua amplificazione. Esiste poi uno specifico sistema discendente, che origina da centro sottocorticali, in grado di ridurne l’intensità impedendo l’arrivo di un segnale troppo forte ai centri nervosi superiori. Una via discendente particolarmente rilevante proviene dal locus coeruleus, il più importante nucleo adrenergico del sistema nervoso centrale. Esso è responsabile dell’analgesia da stress, quella ben nota risposta adattativa dell’organismo che consiste nella soppressione del dolore in situazioni di forte tensione emotiva.

«Negli ultimi anni, tra le differenze biologiche legate al sesso e quindi agli assetti ormonali, è emerso proprio il ruolo delle vie discendenti modulatorie del dolore, che funzionerebbero in maniera diversa tra maschio e femmina» spiega Fornasari. Ad esempio, «nelle femmine la capacità inibitoria di questa via discendente è inferiore e questo spiega, in parte, una più bassa soglia al dolore nelle donne». Una differenza che ancora una volta sarebbe da ricondurre agli ormoni, in particolare agli estrogeni.

UOMO E DONNA: DIVERSI EFFETTI DEI TRATTAMENTI

I farmaci antalgici hanno diversi meccanismi d’azione che agiscono a livelli diversi di queste vie del dolore e la precisa conoscenza delle vie nocicettive ha permesso di creare analgesici sempre più efficaci. «I farmaci antidolorifici agiscono sulle vie discendenti, inibendo la percezione del dolore. Come ad esempio i trattamenti antidepressivi, che agiscono sui neurotrasmettitori responsabili del dolore cronico e sono efficaci anche sul dolore neuropatico» spiega Fornasari. Ma le donne, in generale, assorbono diversamente anche le sostanze contenute nei farmaci, e questo diverso metabolismo tra i due generi rende ancora più fondamentale includere negli studi anche un numero adeguato di soggetti femminili che permetta di evidenziare eventuali differenze di genere nell’efficacia dei trattamenti analgesici.

@nicla_panciera

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