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Gli anticoagulanti hanno cambiato la storia della medicina. Eppure –in pochi lo sanno- prima di essere utilizzati su una«cavia» di tutto rispetto come il presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower, le molecole in questione venivano somministrate come veleno per topi. Sconosciuti sino a poco più di 50 anni fa oggi gli anticoagulanti hanno permesso di evitare milioni di «incidenti» come ictus e trombo-embolie. Ma se quelli di prima generazione –oggi comunque ancora in uso- richiedono ancora un costante monitoraggio e un’attenzione a possibili interazioni, quelli di nuova generazione stanno cambiando radicalmente la vita di chi li utilizza.

Tutto comincia in una fattoria del Wisconsin

A differenza di quanto si possa pensare la scoperta degli anticoagulanti non fu frutto della ricerca bensì di un evento casuale. A darne il via ad inizio ’900 fu un allevatore del Wisconsin preoccupato per la continua perdita di bestiame dovuta a delle misteriose emorragie. Del caso si interessarono diversi scienziati e la conclusione fu che nel foraggio utilizzato in inverno per alimentare il bestiame era presente un prodotto di fermentazione chiamato dicumarolo. Grazie a più approfonditi studi effettuati dalla Wisconsin Alumni Research Foundation venne isolata la molecola «warfarin» (dalle iniziale dell’università), una delle più potenti molecole anticoagulanti. Insieme fu identificato anche il suo antidoto, la vitamina K. Proprio per le forti capacità di generare emorragie il warfarin trovò larga diffusione principalmente come veleno.

L’involontaria pubblicità di Dwight Eisenhower

Il cambio di indicazione -ovvero l’utilità nell’uomo- arrivò solo a metà anni ’50. Anche in questo caso fu un fatto del tutto casuale: un uomo tentò senza successo di togliersi la vita utilizzando il warfarin ad alte dosi. Un caso unico che cominciò a far sospettare i medici che forse questa molecola non era poi così tossica nell’uomo. Iniziati i primi esperimenti per verificarne le proprietà terapeutiche la svolta la si ebbe nel 1955 grazie al presidente USA Dwight Eisenhower. Sofferente di trombosi coronarica -un’ostruzione delle coronarie causata dalla presenza di coaguli di sangue- chiese di poter assumere il farmaco più potente in grado di risolvere il problema: il warfarin (noto ai più in Italia con il nome commerciale di Coumadin). L’inizio del successo degli anticoagulanti.

Meno ictus per fibrillazione atriale

«Questa classe di farmaci -spiega il professor Cesare Fiorentini, Direttore Sviluppo Area Clinica dell’IRCCS Centro Cardiologico Monzino di Milano- ha rivoluzionato il campo della cardiologia degli ultimi 50 anni». Il perché è presto detto: alla base dello sviluppo degli ictus vi è la formazione di vere e proprie ostruzioni a livello dei vasi chiamate trombi. Quando questi si staccano dalla sede dove si sono formati e migrano diventano emboli. Questi ultimi possono essere molto pericolosi perché in grado di ostruire i vasi che irrorano i tessuti causando così l’ictus e altri problemi legati al circolo sanguigno.

«Poter avere a disposizione delle molecole in grado di evitare la formazione di questi trombi è di fondamentale importanza per prevenire questo genere di eventi» spiega Fiorentini.

Un esempio su tutti è la fibrillazione atriale, un’anomalia del ritmo cardiaco che espone chi ne soffre ad un aumentato rischio ictus. Alla base vi è un problema di flusso sanguigno a livello degli atri che genera nel tempo la formazione di trombi. «La soluzione -spiega l’esperto- è evitare che ciò accada tenendo il sangue più fluido. Ciò è possibile farlo attraverso la somministrazione di anticoagulanti».

Monitoraggio costante a attenzione alle interazioni

Un successo, quello del warfarin, che non deve far dimenticare che gli anticoagulanti rappresentano un’arma a doppio taglio poiché spesso sono molecole da assumere a vita.

«Se da un lato questi farmaci ci consentono di evitare la formazione di trombi, dall’altro bisogna stare attenti al rischio emorragie. Il dosaggio dei farmaci dicumarolici è di fondamentale importanza» spiega Fiorentini. Chi li ha utilizzati lo sa bene, il monitoraggio dei valori attraverso il dosaggio del tempo di protrombina deve avvenire molto frequentemente. Non solo, una semplice azione quotidiana come il pranzo e la cena possono influire enormemente sull’efficacia del farmaco.

«I cibi da tenere sotto controllo sono soprattutto le verdure a foglia larga. Quantità troppo elevate di questi alimenti possono andare ad interferire con l’attività anticoagulante in quanto ricchi di vitamina K, la sostanza che ha un’attività opposta e che spesso viene usata come antidoto» spiega l’esperto.

Migliore gestione con i nuovi anticoagulanti orali

Dopo oltre mezzo secolo di onorato servizio gli anticoagulanti classici potrebbero però andare in pensione. Se da un lato queste molecole hanno fatto «miracoli» in chiave preventiva, dall’altro i continui aggiustamenti di dosaggio, il monitoraggio e le interazioni con gli alimenti hanno spinto la comunità scientifica a cercare nuove molecole prive di questi «effetti collaterali».

Dopo anni di ricerca da poco tempo sul mercato sono sbarcati i nuovi anticoagulanti orali (NAO) come Rivaroxaban, Apixaban e Dabigatran. Agendo su fattori diversi della coagulazione rispetto al classico warfarin questa nuove classe di composti presenta molti meno effetti collaterali. «Proprio per la loro capacità di agire su meccanismi differenti -conclude Fiorentini- oggi i NAO stanno lentamente sostituendo i vecchi farmaci anticoagulanti. Il principale vantaggio è quello della stabilità dei livelli del farmaco nel sangue. Un fattore importante che libera il paziente -almeno in parte- a continui controlli».

@danielebanfi83

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