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Chi si rivolge ad un centro di senologia multidis ciplinare, le unità senologiche (Breast Unit), ha un 18% in più di sopravvivenza dal tumore al seno rispetto a chi si rivolge a strutture non specializzate e ha anche una migliore qualità di vita. Eppure, ad un anno esatto dalla scadenza di legge, questi centri non sono ancora operativi in metà delle Regioni italiane. La denuncia di questo «ritardo gravissimo» viene dall’associazione Europa Donna, che ha eseguito un’indagine conoscitiva sulle donne italiane dalla quale emerge che il 92% non sa neppure che cosa sia una Breast Unit. Eppure, una donna su 8 ha un cancro al seno e ogni anno, in Italia, 50.500 donne si ammalano di tumore al seno e ne muoiono 12.000.

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LE BREAST UNIT

Il 31 dicembre del 2016 era il termine, previsto dalle direttive approvate dalla Conferenza Stato-Regioni, per attivare una rete nazionale di oltre 200 Breast Unit in Italia. «Il decreto indicava che entro il 2016 le Regioni avrebbero dovuto organizzarsi per attuare circa 240 centri specializzati per la cura del tumore al seno» spiega Rosanna D’Antona, Presidente di Europa Donna Italia, che ripercorre le tappe che rendono la normativa del nostro paese una delle più avanzate. Sulla carta.

«Le 240 unità senologiche per essere chiamate tali devono rispettare alcuni criteri, dei requisiti per garantire elevati standard di qualità di diagnosi e cura, come un certo volume di pazienti trattati, circa 150 casi l’anno, e l’avere un’equipe multidisciplinare composta da almeno sei professionisti (radiologo, chirurgo, patologo, oncologo radioterapista e data manager) per la completa presa in carico della paziente che non deve più, da sola, rivolgersi a questo e quello specialista».

Il team segue ogni fase del percorso della paziente: dallo screening mammografico, agli esami di accertamento e approfondimento diagnostico, al primo colloquio con l’equipe multidisciplinare, fino alla diagnosi, all’inizio del percorso terapeutico e alla fase di follow up. Infine, dovendo ricorrere a centri pre-esistenti sul territorio, la Breast Unit non richiede l’accorpamento in un’unica struttura, una sorta di grande ospedale del seno, ma le diverse competenze possono essere anche sparse su più centri che lavorano in rete.

SETTE REGIONI SU VENTI

La realtà è che non si è fatto abbastanza e oggi solo sette Regioni su venti hanno recepito le Linee di indirizzo e indicato le Breast Unit con delibera regionale: Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Umbria, Valle D’Aosta, Veneto.

Emilia-Romagna, Marche e Toscana (tre su venti) hanno solo recepito le Linee di indirizzo ma non hanno ancora individuato le Breast Unit con delibera.

Infine, la metà delle regioni, dieci su venti non hanno neppure recepito le linee di indirizzo Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Friuli Venezia-Giulia, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia, Trentino Alto Adige.

2100 VITE SAREBBERO SALVATE

Solo l’8% delle donne italiane tra i 40 e i 70 anni conosce bene cosa siano i centri di senologia multidisciplinari. Lo mostra un’indagine condotta dall’istituto di ricerca

SWG su un campione rappresentativo di 1.042 donne italiane nella fascia d’età più a rischio per il tumore al seno (dai 40 ai 70 anni). E nonostante l’84% abbia vissuto la malattia in prima persona o attraverso amici e parenti stretti, comunque il livello di conoscenza generale è molto basso. E solo il 16% si dichiara informato sui luoghi di cura. Quanto alle Breast Unit, il 37% delle donne ne ha sentito parlare, ma di queste solo l’8% sa bene di cosa si tratti.

«Se ogni anno tutte le donne con una diagnosi di tumore al seno fossero curate in una Breast Unit, si salverebbero in un anno 2100 vite» conclude Rosanna D’Antona, Presidente di Europa Donna Italia. «Proseguiremo nella nostra azione di ricognizione territoriale e moltiplicheremo il nostro impegno nel sollecitare le Istituzioni perché si giunga al più presto alla completa applicazione della legge affidando il sollecito a Marisa Laurito che lo ha fatto suo con la passione che la contraddistingue».

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