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Nel mese in cui il Covid-19 è dilagato in tutta la Lombardia, tra la fine di febbraio e lo stesso periodo di marzo, in quattro delle province più colpite dal contagio (Pavia, Lodi, Cremona e Mantova) si è registrato un numero di arresti cardiaci di gran lunga superiore a quelli rilevati nello stesso periodo del 2019. I dati relativi ai territori sopra citati, diffusi dai cardiologi del policlinico San Matteo di Pavia e dai soccorritori dell’Azienda Regionale Emergenza Urgenza (Areu) attraverso le colonne del «New England Journal of Medicine», evidenziano come la malattia provocata dal Sars-CoV-2 abbia avuto un forte impatto sull’incidenza degli arresti cardiaci avvenuti fuori dall’ospedale. Si tratta delle prime statistiche di questo tipo messe a disposizione dalla comunità scientifica, ma il dato che emerge è definito «impressionante» dagli stessi specialisti. I pazienti affetti da Covid-19 possano essere più a rischio di sviluppare un evento acuto potenzialmente fatale.

Più arresti cardiaci ai tempi del Covid-19
I numeri sono schiaccianti. Durante il periodo di osservazione (21 febbraio-31 marzo), nei quattro capoluoghi della bassa Lombardia si sono registrati complessivamente 9.806 casi di Covid-19 e 362 arresti cardiaci al di fuori degli ospedali: 133 in più rispetto allo stesso arco di tempo dell’anno precedente. Un aumento del 58 per cento, che come riporta il grafico sottostante risulta però condizionato dalle forti differenze registrate tra le province. L’incremento più rilevante ha colpito Lodi (+58 per cento), seguita da Cremona (+43 per cento), Pavia (+24 per cento) e Mantova (+18 per cento).

A crescere è stata soprattutto la quota degli uomini, secondo lo stesso trend che ha riguardato la malattia provocata dal nuovo coronavirus. Un aspetto che - abbinato alla crescita proporzionale dei contagi e degli arresti cardiaci e considerando che oltre tre quarti dei pazienti in più rispetto al 2019 avesse sintomi sospetti, se non proprio una diagnosi accertata di Covid-19 - lascia pochi dubbi.

La malattia che, in poco più di due mesi ha provocato oltre 28mila morti lungo la Penisola, sembra rappresentare un rischio reale (anche) per l’attività elettrica del cuore. «Stiamo preparando un’analisi più completa per discutere le possibili cause di questa correlazione, che appare però ormai certa», spiega Enrico Baldi, cardiologo del Policlinico San Matteo e dottorando del dipartimento di medicina molecolare dell’Università di Pavia.

Cresciuta anche la mortalità
Oltre ad aumentare nei numeri, gli arresti cardiaci registrati al tempo del Covid-19 hanno fatto registrare anche una quota crescente di decessi. I ricercatori hanno stimato un ritardo medio nei soccorsi di tre minuti. E sebbene la tempestività, mai come in questi casi, faccia la differenza, «un ritardo di questa entità non giustifica un aumento della mortalità di oltre dieci punti percentuali», aggiunge Baldi, primo firmatario della ricerca coordinata da Simone Savastano (responsabile del Registro degli arresti cardiaci Lombardia). Sono le caratteristiche degli eventi - con ogni probabilità - ad aver contribuito ad aggravare la prognosi. «In diversi casi, probabilmente a causa dell’isolamento sociale, è mancato un testimone in grado di chiamare i soccorsi. In altri chi era presente ha rinunciato ad avviare la rianimazione cardiopolmonare, anche per paura del contagio. In alcuni pazienti, inoltre, non si è potuto usare il defibrillatore: questo perché l’arresto cardiaco potrebbe essere stato determinato da una causa respiratoria». Un motivo in più per ipotizzare che, in principio, tutto sia partito dal Covid-19. E che il numero dei decessi provocati dalla malattia - direttamente o meno - sia superiore a quello attualmente considerato.

Twitter @fabioditodaro

Nel mese in cui il Covid-19 è dilagato in tutta la Lombardia, tra la fine di febbraio e lo stesso periodo di marzo, in quattro delle province più colpite dal contagio (Pavia, Lodi, Cremona e Mantova) si è registrato un numero di arresti cardiaci di gran lunga superiore a quelli rilevati nello stesso periodo del 2019. I dati relativi ai territori sopra citati, diffusi dai cardiologi del policlinico San Matteo di Pavia e dai soccorritori dell’Azienda Regionale Emergenza Urgenza (Areu) attraverso le colonne del «New England Journal of Medicine», evidenziano come la malattia provocata dal Sars-CoV-2 abbia avuto un forte impatto sull’incidenza degli arresti cardiaci avvenuti fuori dall’ospedale. Si tratta delle prime statistiche di questo tipo messe a disposizione dalla comunità scientifica, ma il dato che emerge è definito «impressionante» dagli stessi specialisti. I pazienti affetti da Covid-19 possano essere più a rischio di sviluppare un evento acuto potenzialmente fatale.

Più arresti cardiaci ai tempi del Covid-19
I numeri sono schiaccianti. Durante il periodo di osservazione (21 febbraio-31 marzo), nei quattro capoluoghi della bassa Lombardia si sono registrati complessivamente 9.806 casi di Covid-19 e 362 arresti cardiaci al di fuori degli ospedali: 133 in più rispetto allo stesso arco di tempo dell’anno precedente. Un aumento del 58 per cento, che come riporta il grafico sottostante risulta però condizionato dalle forti differenze registrate tra le province. L’incremento più rilevante ha colpito Lodi (+58 per cento), seguita da Cremona (+43 per cento), Pavia (+24 per cento) e Mantova (+18 per cento).

A crescere è stata soprattutto la quota degli uomini, secondo lo stesso trend che ha riguardato la malattia provocata dal nuovo coronavirus. Un aspetto che - abbinato alla crescita proporzionale dei contagi e degli arresti cardiaci e considerando che oltre tre quarti dei pazienti in più rispetto al 2019 avesse sintomi sospetti, se non proprio una diagnosi accertata di Covid-19 - lascia pochi dubbi.

La malattia che, in poco più di due mesi ha provocato oltre 28mila morti lungo la Penisola, sembra rappresentare un rischio reale (anche) per l’attività elettrica del cuore. «Stiamo preparando un’analisi più completa per discutere le possibili cause di questa correlazione, che appare però ormai certa», spiega Enrico Baldi, cardiologo del Policlinico San Matteo e dottorando del dipartimento di medicina molecolare dell’Università di Pavia.

Cresciuta anche la mortalità
Oltre ad aumentare nei numeri, gli arresti cardiaci registrati al tempo del Covid-19 hanno fatto registrare anche una quota crescente di decessi. I ricercatori hanno stimato un ritardo medio nei soccorsi di tre minuti. E sebbene la tempestività, mai come in questi casi, faccia la differenza, «un ritardo di questa entità non giustifica un aumento della mortalità di oltre dieci punti percentuali», aggiunge Baldi, primo firmatario della ricerca coordinata da Simone Savastano (responsabile del Registro degli arresti cardiaci Lombardia). Sono le caratteristiche degli eventi - con ogni probabilità - ad aver contribuito ad aggravare la prognosi. «In diversi casi, probabilmente a causa dell’isolamento sociale, è mancato un testimone in grado di chiamare i soccorsi. In altri chi era presente ha rinunciato ad avviare la rianimazione cardiopolmonare, anche per paura del contagio. In alcuni pazienti, inoltre, non si è potuto usare il defibrillatore: questo perché l’arresto cardiaco potrebbe essere stato determinato da una causa respiratoria». Un motivo in più per ipotizzare che, in principio, tutto sia partito dal Covid-19. E che il numero dei decessi provocati dalla malattia - direttamente o meno - sia superiore a quello attualmente considerato.

Twitter @fabioditodaro