I disturbi del comportamento alimentare sono in aumento. Fino a qualche decennio fa conoscevamo soltanto anoressia e bulimia. Oggi quasi tutti sanno di che cosa si sta parlando quando si menzionano termini quali «binge eating», «ednos», «alimentazione incontrollata», oppure, ​​​«ortoressia» e «bigoressia».

Il 15 marzo è stata la Giornata del Fiocchetto Lilla, dedicata proprio ai cosiddetti DCA che in Italia interessano circa 3 milioni di giovani, nella stragrande maggioranza (95,9%) donne.

Un giorno con i riflettori puntati su questi disturbi, i quali prendono di mira il corpo per esprimere disagi più profondi e che spesso sono infatti accompagnati da patologie neuropsichiatriche di rilievo.

Molti di questi problemi non hanno soltanto una fase di inizio, uno sviluppo ed una guarigione. Alcuni, l’anoressia in special modo, dopo l’esordio possono accompagnare chi ne è colpito perfino per il resto dell’esistenza. Finanche a risultare letali, ovvero a condurre il paziente alla morte.

Quando mangiare sano fa male: è l’ortoressia

Anoressia e bulimia: un avatar in tre versioni corporee aiuta il paziente a correggere la percezione di sé

NICLA PANCIERA

E’ di questi ultimi mesi la drammatica storia del ventenne Lorenzo Seminatore, che se ne è andato dopo 6 anni di calvario. I suoi genitori, oggi straziati dalla perdita, avevano provato ad aiutarlo in ogni modo, seguendolo personalmente con l’affetto, la dedizione e la cura. Ma anche agendo sul campo, affidandolo ciclicamente alle strutture sanitarie preposte, con la speranza che potessero essere risolutive.

L’impotenza dei genitori davanti alle malattie inafferrabili dei propri figli

Elena Loewenthal

Quando mangiare sano fa male: è l’ortoressia

La tragedia di questa ennesima famiglia, costretta ad entrare in un tunnel che a un certo punto diventa senza vie d’uscita, era cominciata quando il ragazzo stava al primo anno delle superiori a Torino. Dapprima una diagnosi di depressione e poi l’inizio dell’incubo vero e proprio, con Lorenzo che non mangiava più e perdeva peso. Nulla è stato lasciato al caso. I genitori hanno tentato di tutto: dai ricoveri nei reparti di psichiatria degli ospedali, all’assistenza presso una struttura dedicata, in Val d’Aosta, dove il giovane era stato seguito dagli specialisti, potendo perfino proseguire gli studi col materiale didattico inviato dalla scuola.

Anoressia, quel male del corpo e dello spirito dal quale si può uscire

angela nanni

A 12 anni i primi disturbi alimentari, lanciato un crowdfunding per prevenirli

fabio di todaro

Sei lunghi anni di sofferenze, fisiche e morali. Con qualche momento di sconforto assoluto che oggi mamma Francesca e papà Fabio raccontano nelle interviste rilasciate ai quotidiani nell’intento di essere di esempio ed aiuto ad altre famiglie.

Un giorno, alla domanda: «Lorenzo, perché non mangi?», la risposta era stata «Perché così so che prima o poi muoio». E quel giorno è arrivato, lo scorso 3 febbraio 2020.

Con la dottoressa Sabrina Mencarelli, Psicologa- Psicotrapeuta specialista nei disturbi alimentari, analizziamo dunque qui di seguito le caratteristiche dei comportamenti anomali nei confronti del cibo che in alcuni casi possono avere conseguenze irreversibili.

1) Che cosa intendiamo esattamente per “disturbi del comportamento alimentare”?

«Per disturbi del comportamento alimentare (DCA) si intendono comportamenti disfunzionali nel modo di mangiare poiché alla base di tali comportamenti sono presenti delle ossessioni che coinvolgono il cibo e per forme corporee».

2) Fra i molti casi, quali sono i più complessi da trattare: per gli specialisti è più impegnativo ad esempio avere a che fare con un paziente anoressico piuttosto che con l’ortoressico?

«Tutti i DCA sono in egual modo complessi, poiché sono vere e proprie nuove forme depressive e ossessive che limitano lo spazio vitale delle persone che ne soffrono. La gravità è spesso associata ai livelli di malnutrizione di queste persone e alle complicanze organiche non riferibili solo alla diagnosi».

3) Perché è il genere femminile quello decisamente più interessato da questi disturbi?

«Il genere femminile è più colpito numericamente parlando, ma molti sono i casi che riguardano oggi anche i maschi. Sono meno precocemente identificabili poiché spesso si presentano con una forte attenzione ai muscoli e conseguentemente con attività sportive estenuanti che li isolano. Gli stessi criteri diagnostici oggi hanno eliminato l'amenorrea secondaria come sintomo nella diagnosi, proprio per includere anche il genere maschile».

4) L’adolescenza è l’età in assoluto più a rischio per questo tipo di situazioni? Se sì, per quale motivo?

«Oggi le bambine sviluppano in età precoce rispetto a prima e già a 8/9 anni può comparire il menarca. Questo ha anticipato l'attenzione per il corpo e quindi i rischi collegati. Sui fattori predisponenti dei DCA possiamo vedere casi di pregresse obesità infantili, episodi di bullismo (dove quasi sempre viene attaccato il corpo), talvolta i pazienti vanno a cercare i siti che esortano all'anoressia o alla bulimia trovando una larga condivisione di comportamenti disfunzionali con altri pazienti malati. Si tratta quasi sempre di persone che hanno un'elevata labilità emotiva e personologica, associata ad una bassa autostima e ad un'incapacità di gestione della frustrazione».

5) I DCA possono essere considerati un fenomeno del nostro tempo, quindi determinati dal contesto storico-sociale, oppure esistevano anche nel lontano passato?

«La nostra società moderna è, rispetto a prima, molto più attenta all'immagine, più che ai contenuti. E’ radicalmente cambiato il nostro modo di comunicare e questo ha divulgato stili di vita e comportamenti che hanno condizionato gran parte della popolazione. Molti secoli fa erano presenti nelle sante, delle forme di anoressia che, una volta raggiunto uno stato di grave malnutrizione, generavano vere e proprie psicosi da digiuno. Il che portava queste persone a sviluppare delle forme di pensiero considerato ascetico».

6) Quale è la chiave che voi specialisti avete riconosciuto come la più efficace nel trattamento psicologico di questi casi? Il dialogo, il convincimento, l’accettazione, una figura determinante per il paziente?

«Il trattamento dei DCA deve seguire oggi delle linee guida condivise a livello scientifico che prevedono come metodo di approccio elettivo un'equipe multidisciplinare e diversi livelli di cura. Oggi assistiamo nei disturbi alimentari ad una migrazione sintomatica ovvero al cambiamento di stato dei disturbi, possiamo passare da un'anoressia nervosa ad una bulimia nervosa ad un BED. Per evitare questo passaggio è di fondamentale importanza fare una precisa diagnosi della sintomatologia che in quel momento si evidenzia nel paziente e comprendere in base alla motivazione alle cure dello stesso, alla gravità, e alle risorse che ha il giusto livello di intervento. I diversi livelli di intervento sono nei casi più gravi i ricoveri salvavita, con degenza ospedaliera, le strutture residenziali, i centri diurni e gli ambulatori. L'equipe multidisciplinare dovrebbe prevedere almeno la figura del dietista o medico nutrizionista, lo psicologo, lo psichiatra ed il medico internista. Altro aspetto importantissimo è la prevenzione, nelle scuole, tra i medici e in tutti quei luoghi di aggregazione dove un semplice sport potrebbe rappresentare un fattore di rischio».

7) Che cosa non vorrebbe mai sentirsi dire una persona con DCA?

«Un paziente affetto da DCA non vuole sentirsi dire spesso che è un capriccio, che basta solo mangiare e che deve farlo per le persone che gli vogliono bene».

8) Quali cibi sono maggiormente “presi di mira” ovvero considerati “nemici” da parte di chi soffre di questi disturbi?

«In genere i cibi che sono più temuti nei disturbi alimentari sono quelli che a parere dei pazienti fanno ingrassare: ovvero i carboidrati o i grassi. Nelle ortoressie invece le paure vengono proiettate verso cibi che non sono "sani" come la carne ad esempio o cibi non biologici che sono interpretati come potenzialmente contaminanti. In questi casi l'atteggiamento è fobico, ci sono persone che non vanno nemmeno a mangiare in alcuni ristoranti dove vengono cucinati cibi per loro pericolosi. Nei disturbi selettivi dell’alimentazione invece i cibi vengono scelti per consistenza o colore».

9) Possiamo considerare i DCA alla stregua dell’autolesionismo, seppure sviluppato in forma diversa?

«L'autolesionismo è uno dei sintomi che si associa ai DCA. Quando prevale un forte senso di colpa nell'essersi concessi di mangiare, tagliarsi è per il paziente una forma punitiva. Esiste anche la dimensione del piacere che nei pazienti con DCA non è presente per cui, l'unico modo per poter riattivare delle emozioni avviene, paradossalemnte procurandosi dolore».

10) Quale ruolo hanno i genitori del paziente, sia in termini positivi e di supporto, sia in termini di possibile causa dei disturbi od ostacolo al loro superamento?

«La famiglia ha un ruolo elettivo nel decorso della malattia, va sostenuta e aiutata nel comprendere cosa è un DCA, non colpevolizzata. Le cause dei DCA sono multifattoriali di conseguenza la famiglia non può essere l'unica causa, talvolta può semmai rivelarsi un fattore di rischio. E' comunque sempre una grande risorsa nel decorso del disturbo».

11) Esistono strutture di eccellenza per il trattamento dei DCA?

«Ci sono ancora poche strutture dedicate che purtroppo non coprono l'intero territorio nazionale. Questo costringe le famiglie ad estenuanti spostamenti da una regione all'altra. Non potendo garantire ovunque, dopo la dimissione dei loro cari la continuità delle cure, fondamentale per evitare le ricadute. La continuità delle cure anche dopo i vari ricoveri è di fondamentale importanza si è visto che entro il terzo anno dall'insorgere della malattia se si interviene precocemente, il DCA va quasi in remissione. Altro aspetto importantissimo è la prevenzione, nelle scuole, tra i medici e in tutti quei luoghi di aggregazione sportiva dove un semplice sport potrebbe rappresentare un fattore di rischio.».

12) I farmaci sono sempre necessari nel trattamento?

«In alcuni casi quando si evidenziano gravi comorbidità psichiatriche associate, le medicine possono essere di aiuto in una prima fase di stabilizzazione della cura, ma è stato ampiamente dimostrato che solo una riabilitazione psico-nutrizionale-motivazionale è l'intervento necessario, solo il farmaco non sarebbe efficace».

13) Qual è la percentuale di mortalità per questo genere di problemi?

«Molti pazienti muoiono per complicanze organiche che sopraggiungono, ecco perché non è facile dare dei numeri esatti. Certo è che spesso viene intercettata quando vi è oramai purtroppo una cronicizzazione che rende difficile intervenire in tempo».

14) La morte è proprio l’obiettivo finale del paziente?

«Questi pazienti non sono realmente consapevoli dei rischi clinici ed organici che corrono. Spesso affermano di voler toccare il fondo con l'accezione per loro di una possibile rinascita da una esistenza in cui si sentono imprigionati. E' come se il loro corpo esprimesse un linguaggio che chiede di essere interpretato e compreso».

I disturbi del comportamento alimentare sono in aumento. Fino a qualche decennio fa conoscevamo soltanto anoressia e bulimia. Oggi quasi tutti sanno di che cosa si sta parlando quando si menzionano termini quali «binge eating», «ednos», «alimentazione incontrollata», oppure, ​​​«ortoressia» e «bigoressia».

Il 15 marzo è stata la Giornata del Fiocchetto Lilla, dedicata proprio ai cosiddetti DCA che in Italia interessano circa 3 milioni di giovani, nella stragrande maggioranza (95,9%) donne.

Un giorno con i riflettori puntati su questi disturbi, i quali prendono di mira il corpo per esprimere disagi più profondi e che spesso sono infatti accompagnati da patologie neuropsichiatriche di rilievo.

Molti di questi problemi non hanno soltanto una fase di inizio, uno sviluppo ed una guarigione. Alcuni, l’anoressia in special modo, dopo l’esordio possono accompagnare chi ne è colpito perfino per il resto dell’esistenza. Finanche a risultare letali, ovvero a condurre il paziente alla morte.

Quando mangiare sano fa male: è l’ortoressia

Anoressia e bulimia: un avatar in tre versioni corporee aiuta il paziente a correggere la percezione di sé

NICLA PANCIERA

E’ di questi ultimi mesi la drammatica storia del ventenne Lorenzo Seminatore, che se ne è andato dopo 6 anni di calvario. I suoi genitori, oggi straziati dalla perdita, avevano provato ad aiutarlo in ogni modo, seguendolo personalmente con l’affetto, la dedizione e la cura. Ma anche agendo sul campo, affidandolo ciclicamente alle strutture sanitarie preposte, con la speranza che potessero essere risolutive.

L’impotenza dei genitori davanti alle malattie inafferrabili dei propri figli

Elena Loewenthal

Quando mangiare sano fa male: è l’ortoressia

La tragedia di questa ennesima famiglia, costretta ad entrare in un tunnel che a un certo punto diventa senza vie d’uscita, era cominciata quando il ragazzo stava al primo anno delle superiori a Torino. Dapprima una diagnosi di depressione e poi l’inizio dell’incubo vero e proprio, con Lorenzo che non mangiava più e perdeva peso. Nulla è stato lasciato al caso. I genitori hanno tentato di tutto: dai ricoveri nei reparti di psichiatria degli ospedali, all’assistenza presso una struttura dedicata, in Val d’Aosta, dove il giovane era stato seguito dagli specialisti, potendo perfino proseguire gli studi col materiale didattico inviato dalla scuola.

Anoressia, quel male del corpo e dello spirito dal quale si può uscire

angela nanni

A 12 anni i primi disturbi alimentari, lanciato un crowdfunding per prevenirli

fabio di todaro

Sei lunghi anni di sofferenze, fisiche e morali. Con qualche momento di sconforto assoluto che oggi mamma Francesca e papà Fabio raccontano nelle interviste rilasciate ai quotidiani nell’intento di essere di esempio ed aiuto ad altre famiglie.

Un giorno, alla domanda: «Lorenzo, perché non mangi?», la risposta era stata «Perché così so che prima o poi muoio». E quel giorno è arrivato, lo scorso 3 febbraio 2020.

Con la dottoressa Sabrina Mencarelli, Psicologa- Psicotrapeuta specialista nei disturbi alimentari, analizziamo dunque qui di seguito le caratteristiche dei comportamenti anomali nei confronti del cibo che in alcuni casi possono avere conseguenze irreversibili.

1) Che cosa intendiamo esattamente per “disturbi del comportamento alimentare”?

«Per disturbi del comportamento alimentare (DCA) si intendono comportamenti disfunzionali nel modo di mangiare poiché alla base di tali comportamenti sono presenti delle ossessioni che coinvolgono il cibo e per forme corporee».

2) Fra i molti casi, quali sono i più complessi da trattare: per gli specialisti è più impegnativo ad esempio avere a che fare con un paziente anoressico piuttosto che con l’ortoressico?

«Tutti i DCA sono in egual modo complessi, poiché sono vere e proprie nuove forme depressive e ossessive che limitano lo spazio vitale delle persone che ne soffrono. La gravità è spesso associata ai livelli di malnutrizione di queste persone e alle complicanze organiche non riferibili solo alla diagnosi».

3) Perché è il genere femminile quello decisamente più interessato da questi disturbi?

«Il genere femminile è più colpito numericamente parlando, ma molti sono i casi che riguardano oggi anche i maschi. Sono meno precocemente identificabili poiché spesso si presentano con una forte attenzione ai muscoli e conseguentemente con attività sportive estenuanti che li isolano. Gli stessi criteri diagnostici oggi hanno eliminato l'amenorrea secondaria come sintomo nella diagnosi, proprio per includere anche il genere maschile».

4) L’adolescenza è l’età in assoluto più a rischio per questo tipo di situazioni? Se sì, per quale motivo?

«Oggi le bambine sviluppano in età precoce rispetto a prima e già a 8/9 anni può comparire il menarca. Questo ha anticipato l'attenzione per il corpo e quindi i rischi collegati. Sui fattori predisponenti dei DCA possiamo vedere casi di pregresse obesità infantili, episodi di bullismo (dove quasi sempre viene attaccato il corpo), talvolta i pazienti vanno a cercare i siti che esortano all'anoressia o alla bulimia trovando una larga condivisione di comportamenti disfunzionali con altri pazienti malati. Si tratta quasi sempre di persone che hanno un'elevata labilità emotiva e personologica, associata ad una bassa autostima e ad un'incapacità di gestione della frustrazione».

5) I DCA possono essere considerati un fenomeno del nostro tempo, quindi determinati dal contesto storico-sociale, oppure esistevano anche nel lontano passato?

«La nostra società moderna è, rispetto a prima, molto più attenta all'immagine, più che ai contenuti. E’ radicalmente cambiato il nostro modo di comunicare e questo ha divulgato stili di vita e comportamenti che hanno condizionato gran parte della popolazione. Molti secoli fa erano presenti nelle sante, delle forme di anoressia che, una volta raggiunto uno stato di grave malnutrizione, generavano vere e proprie psicosi da digiuno. Il che portava queste persone a sviluppare delle forme di pensiero considerato ascetico».

6) Quale è la chiave che voi specialisti avete riconosciuto come la più efficace nel trattamento psicologico di questi casi? Il dialogo, il convincimento, l’accettazione, una figura determinante per il paziente?

«Il trattamento dei DCA deve seguire oggi delle linee guida condivise a livello scientifico che prevedono come metodo di approccio elettivo un'equipe multidisciplinare e diversi livelli di cura. Oggi assistiamo nei disturbi alimentari ad una migrazione sintomatica ovvero al cambiamento di stato dei disturbi, possiamo passare da un'anoressia nervosa ad una bulimia nervosa ad un BED. Per evitare questo passaggio è di fondamentale importanza fare una precisa diagnosi della sintomatologia che in quel momento si evidenzia nel paziente e comprendere in base alla motivazione alle cure dello stesso, alla gravità, e alle risorse che ha il giusto livello di intervento. I diversi livelli di intervento sono nei casi più gravi i ricoveri salvavita, con degenza ospedaliera, le strutture residenziali, i centri diurni e gli ambulatori. L'equipe multidisciplinare dovrebbe prevedere almeno la figura del dietista o medico nutrizionista, lo psicologo, lo psichiatra ed il medico internista. Altro aspetto importantissimo è la prevenzione, nelle scuole, tra i medici e in tutti quei luoghi di aggregazione dove un semplice sport potrebbe rappresentare un fattore di rischio».

7) Che cosa non vorrebbe mai sentirsi dire una persona con DCA?

«Un paziente affetto da DCA non vuole sentirsi dire spesso che è un capriccio, che basta solo mangiare e che deve farlo per le persone che gli vogliono bene».

8) Quali cibi sono maggiormente “presi di mira” ovvero considerati “nemici” da parte di chi soffre di questi disturbi?

«In genere i cibi che sono più temuti nei disturbi alimentari sono quelli che a parere dei pazienti fanno ingrassare: ovvero i carboidrati o i grassi. Nelle ortoressie invece le paure vengono proiettate verso cibi che non sono "sani" come la carne ad esempio o cibi non biologici che sono interpretati come potenzialmente contaminanti. In questi casi l'atteggiamento è fobico, ci sono persone che non vanno nemmeno a mangiare in alcuni ristoranti dove vengono cucinati cibi per loro pericolosi. Nei disturbi selettivi dell’alimentazione invece i cibi vengono scelti per consistenza o colore».

9) Possiamo considerare i DCA alla stregua dell’autolesionismo, seppure sviluppato in forma diversa?

«L'autolesionismo è uno dei sintomi che si associa ai DCA. Quando prevale un forte senso di colpa nell'essersi concessi di mangiare, tagliarsi è per il paziente una forma punitiva. Esiste anche la dimensione del piacere che nei pazienti con DCA non è presente per cui, l'unico modo per poter riattivare delle emozioni avviene, paradossalemnte procurandosi dolore».

10) Quale ruolo hanno i genitori del paziente, sia in termini positivi e di supporto, sia in termini di possibile causa dei disturbi od ostacolo al loro superamento?

«La famiglia ha un ruolo elettivo nel decorso della malattia, va sostenuta e aiutata nel comprendere cosa è un DCA, non colpevolizzata. Le cause dei DCA sono multifattoriali di conseguenza la famiglia non può essere l'unica causa, talvolta può semmai rivelarsi un fattore di rischio. E' comunque sempre una grande risorsa nel decorso del disturbo».

11) Esistono strutture di eccellenza per il trattamento dei DCA?

«Ci sono ancora poche strutture dedicate che purtroppo non coprono l'intero territorio nazionale. Questo costringe le famiglie ad estenuanti spostamenti da una regione all'altra. Non potendo garantire ovunque, dopo la dimissione dei loro cari la continuità delle cure, fondamentale per evitare le ricadute. La continuità delle cure anche dopo i vari ricoveri è di fondamentale importanza si è visto che entro il terzo anno dall'insorgere della malattia se si interviene precocemente, il DCA va quasi in remissione. Altro aspetto importantissimo è la prevenzione, nelle scuole, tra i medici e in tutti quei luoghi di aggregazione sportiva dove un semplice sport potrebbe rappresentare un fattore di rischio.».

12) I farmaci sono sempre necessari nel trattamento?

«In alcuni casi quando si evidenziano gravi comorbidità psichiatriche associate, le medicine possono essere di aiuto in una prima fase di stabilizzazione della cura, ma è stato ampiamente dimostrato che solo una riabilitazione psico-nutrizionale-motivazionale è l'intervento necessario, solo il farmaco non sarebbe efficace».

13) Qual è la percentuale di mortalità per questo genere di problemi?

«Molti pazienti muoiono per complicanze organiche che sopraggiungono, ecco perché non è facile dare dei numeri esatti. Certo è che spesso viene intercettata quando vi è oramai purtroppo una cronicizzazione che rende difficile intervenire in tempo».

14) La morte è proprio l’obiettivo finale del paziente?

«Questi pazienti non sono realmente consapevoli dei rischi clinici ed organici che corrono. Spesso affermano di voler toccare il fondo con l'accezione per loro di una possibile rinascita da una esistenza in cui si sentono imprigionati. E' come se il loro corpo esprimesse un linguaggio che chiede di essere interpretato e compreso».