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Fare del tumore un sorvegliato speciale, monitorando regolarmente l’evolvere della situazione, può essere una valida opzione terapeutica in caso di carcinoma prostatico di piccole dimensioni e bassa aggressività. E questo percorso, come emerge da una ricerca italiana, porta i pazienti verso una maggior consapevolezza e motivazione a prendersi attivamente cura della propria salute.

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In Italia, il tumore alla prostata è il più frequente negli uomini e rappresenta oltre il 20% di tutti i tumori diagnosticati a partire dai 50 anni di età, con 35mila nuovi casi l’anno. Tuttavia, in due casi su cinque esso è “indolente”, in altre parole potrà non aver mai la forza di manifestarsi: controllarlo significa evitare il sovra-trattamento. Il protocollo di “sorveglianza attiva” è alternativo all’intervento immediato ad ogni costo e consente di evitare o rinviare il trattamento, risparmiando così al paziente i pesanti effetti collaterali a carico della sfera sessuale, urinaria e rettale. I pazienti vengono immediatamente indirizzati verso un percorso chirurgico o radioterapico qualora un’evoluzione del quadro clinico (come un’uscita del tumore dalla fase di indolenza) lo rende necessario.

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Un articolo recentemente pubblicato sullo European Journal of Cancer Care ha riportato i risultati di uno studio qualitativo condotto all’interno del Programma Prostata dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e finalizzato all’analisi dell’approccio dei pazienti sottoposti a sorveglianza attiva rispetto alla promozione della salute. «I pazienti in sorveglianza attiva evidenziano un interesse verso la promozione della loro salute generale, fisica e psicologica, e da parte loro emerge il desiderio di avere informazioni e strumenti per diventare soggetti attivi nel percorso di cura» - afferma Lara Bellardita, Psicologa del Programma Prostata dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e tra gli autori dello studio. «La proposta della sorveglianza attiva viene fatta durante la visita multidisciplinare in presenza di un urologo, un oncologo radioterapista e di uno psicologo, illustrando un percorso ben strutturato e sistematico, che fissa a priori tutti i controlli clinici e bioptici».

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Optare per l’osservazione non è semplice perché è un atteggiamento diverso da quello prevalente in oncologia, secondo cui diagnosi precoce significa tumore piccolo e da trattare subito per guarire. E le diagnosi di tumore alla prostata in fase iniziale, grazie anche alla maggior consapevolezza dell’importanza della diagnosi precoce, sono aumentate. Grazie all’anticipazione diagnostica, sono sempre di più i pazienti candidabili a questo percorso di sorveglianza che, come mostra la ricerca condotta all’Istituto di Via Venezia, li aiuta anche dal punto di vista di una maggior motivazione e coinvolgimento nell’avere parte attiva nel prendersi cura della propria salute, prendendo delle decisioni su di essa in modo consapevole e autonomo.