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L’avevamo tutti, in casa, da piccoli, quella boccetta rossa dal caustico potere disinfettante. La tintura di iodio brucia un po’, non ha un buon odore, ma ha salvato centinaia di migliaia di vite, fino all’avvento degli antibiotici. Nonostante oggi siano principalmente i suoi derivati ad essere utilizzati in tutto il mondo per l’antisepsi operatoria, la «ricetta» originale sopravvive ancora.

Praticamente nessuno sa che la sua scoperta è dovuta a un italiano, il medico Antonio Grossich (1849-1926) personaggio poliedrico che fu anche un uomo politico irredentista di spicco, protagonista, insieme a d’Annunzio, dell’epopea fiumana.

Antonio Grossich e lo stato maggiore legionario a Fiume

Le infezioni, dramma dei campi di battaglia

Per avere un’idea dell’importanza della sua scoperta scientifica basti ricordare che solitamente, nelle guerre fra ‘800 e ‘900, solo una piccola percentuale dei soldati veniva uccisa direttamente dalle granate e dai colpi di arma da fuoco o di arma bianca. La stragrande maggioranza dei decessi avveniva soprattutto per le infezioni: tetano, setticemia, cancrena falcidiavano i feriti in un’epoca in cui la penicillina era ancora di là da venire.

Nel 1867, vi era stata pure una svolta, con la messa a punto del metodo antisettico da parte del medico inglese Joseph Lister il quale aveva intuito, sull’onda delle scoperte di Pasteur, l’importanza di disinfettare le ferite e gli strumenti chirurgici. A tale scopo, aveva elaborato una soluzione di acido fenico che, tuttavia, risultava abbastanza irritante e tossica per il corpo umano.

Ospedale da campo della Prima Guerra Mondiale

Migliaia di compatrioti salvati da Grossich

Fin dalla Guerra di Libia (1911-’12), le Forze armate italiane avevano invece sperimentato su larga scala la tintura di iodio scoperta da Antonio Grossich nel 1908. Questa composizione a base di acqua depurata, etanolo, iodio e ioduro di potassio era, al contrario dell’acido fenico, del tutto tollerabile sulla cute, pur possedendo un altissimo potere antibatterico. Il Regno aveva già riconosciuto l’importanza di questa scoperta nominando lo scienziato Commendatore della Corona d’Italia.

Sulle vite che furono salvate dalla tintura di iodio, non disponiamo di numeri certi, ma possiamo effettuare un confronto con i dati provenienti dalla Battaglia di Verdun (1916) in cui i franco-britannici usarono un nuovo antisettico a base di cloro. Come spiega lo storico della Medicina Giorgio Cosmacini: «In questa occasione, per curare i feriti, si sperimentò la Soluzione di Dakin-Carrel, a base di ipoclorito di sodio, principio attivo della candeggina. Dei feriti che furono trattati con questa soluzione ne sopravvisse ben il 90%, rispetto al 10 % di quelli che furono medicati con disinfettanti di vecchio tipo».

«La tintura di iodio e la successiva soluzione Dakin-Carrel – conferma il dott. Moro, igienista del San Raffaele di Milano – hanno entrambe un grande potere antisettico e hanno costituito agli inizi del secolo scorso un avanzamento epocale nella lotta ai microrganismi e quindi alle infezioni».

Se pensiamo, quindi, che i feriti italiani nella Prima guerra mondiale furono circa un milione, e che la tintura di iodio era usata dai nostri militari già dal 1911, possiamo avere idea di quante centinaia di migliaia di soldati italiani abbia salvato la tintura di iodio di Grossich.

Chirurgia di guerra

La longevità della tintura

«Mentre la Dakin-Carrel venne abbandonata dopo la Grande Guerra a causa della non perfetta tollerabilità e della sua instabilità – spiega la dottoressa Cesarina Curti, farmacista ospedaliera di lungo corso, specializzata in disinfettanti – la tintura di iodio sopravvive ancor oggi, sebbene sia un prodotto essenzialmente di nicchia. Fino a tutti gli anni ’60, in ospedale, usavamo principalmente questa, in sala operatoria, per la sua potenza antisettica. Poi, un po’ a causa delle nuove e sempre più frequenti allergie dei pazienti, un po’ per la cautela necessaria alla sua conservazione è stata sostituita dai derivati organici dello iodio, soprattutto iodopovidone, di cui uno dei marchi commerciali più noti è il Betadine. Il suo potere antisettico è un po’ meno efficace rispetto alla tintura, ma è molto più maneggevole».

Una particolarità di questi preparati a base di iodio è che quando si deve preparare il «campo operatorio» ovvero la porzione di pelle da incidere col bisturi, grazie al colore rosso-brunito, consentono al chirurgo di vedere esattamente quale e quanta superficie di cute è stata disinfettata senza la necessità di aggiungere alla soluzione dei coloranti.

Antonio Grossich

Italiano a tutti gli effetti

Alcune fonti citano Grossich come medico istriano, ma per quanto fosse nato nel 1849 a Draguccio di Pinguente nell’Istria, all’epoca, austroungarica, Antonio Grossich fu italiano non solo moralmente, per l’ardente irredentismo che permeò la sua azione politica, ma anche a tutti gli effetti di legge. «Come quella di Alcide De Gasperi, la cittadinanza italiana di Grossich – spiega Franco Simonelli, ricercatore di Storia dei partiti politici presso l’Università di Urbino - fu il risultato del crollo dell’Impero austroungarico e dell’assegnazione dei territori trentini, giuliani e istriani al Regno d’Italia. Con il Trattato di Rapallo del 1920, Giolitti diede la cittadinanza italiana a diverse centinaia di migliaia di ex-sudditi austro-ungarici che parlavano la nostra lingua. Le popolazioni già asburgiche ebbero facoltà di accettare o meno il nuovo stato giuridico. Proprio la sua cittadinanza italiana permise, infine, di onorare l’impegno patriottico di Grossich con la nomina a Senatore del Regno».

La Carta del Carnaro

L’irredentista

Grossich si era laureato in Medicina, nel 1875, a Vienna. Trasferitosi a Fiume, anche per compiacere la moglie, nativa della città, vi esercitò per circa quarant’anni la professione. Qui fu un protagonista attivissimo della vita politica dove si associò alle lotte per la difesa dell’italianità e dell’autonomia della città. Con lo scoppio della Grande Guerra, Grossich, che era allora vice podestà, fu «caldamente invitato» a trasferirsi a Vienna. Con il crollo dell’Impero asburgico, nel 1918, il Consiglio nazionale di Fiume lo eleggeva a presidente e sotto la sua guida iniziava la lotta per l’annessione di Fiume all’Italia. Capo del governo fiumano per più di due anni, fu instancabile mediatore fra i cittadini irredentisti, che volevano l’annessione all’Italia, e gli autonomisti, che invece volevano trasformare Fiume in un’enclave indipendente.

«Anche per questo motivo –continua Simonelli – Gabriele D’Annunzio paragonò Grossich a un “arpese” riprendendo metaforicamente l’immagine di quelle sbarre di ferro che, in architettura, tengono unite le pietre di sostegno. I rapporti fra i due, tuttavia, non furono sempre idilliaci: l’anziano patriarca, custode dell’italianità di Fiume, se da un lato aveva visto con favore l’occupazione da parte di d’Annunzio, era un liberale monarchico, troppo conservatore per accettare le rivoluzionarie proposte sulla “repubblica sperimentale” dei legionari dannunziani».

Quando lesse la Carta del Carnaro, con le sue innovazioni pre-sessantottine, Grossich commentò: «Qui siamo completamente tra le nuvole» e, dopo pochi giorni, si dimise. Dopo che d’Annunzio fu costretto ad abbandonare l’occupazione, fu lui, tuttavia, a riprendere in mano la città e a consegnarne le chiavi al Re Vittorio Emanuele III.

Tintura di iodio

Le ragioni di un oblìo

Antonio Grossich è una di quelle figure eclettiche, tipiche della sua epoca, che spaziavano disinvoltamente dalla scienza alla politica, all’arte. Era stato anche drammaturgo, fondatore nel 1893 del Circolo letterario che si proponeva di diffondere la letteratura italiana tra i giovani. In quegli anni scrisse il dramma in quattro atti «La donna fatal» cui sarebbe seguito tre anni dopo «Viaggio di una principessa in Terra Santa». Come mai questo personaggio è stato completamente dimenticato? «L’annessione dell’Istria e poi di Fiume – spiega Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale - sono state spesso vissute, o rappresentate, come un caso di imperialismo, se non addirittura di fascismo: anche se l’Istria faceva parte degli accordi di pace, e Fiume fu frutto, dopo l’impresa di d’Annunzio, di un legittimo accordo diplomatico. Quel che avvenne durante e subito dopo la Seconda guerra mondiale - le foibe, i partigiani titini - ha assurdamente accentuato questa sensazione, tanto da cancellare il ricordo di figure importanti e positive come Grossich».

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