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Avvocati, insegnanti, assistenti sociali e medici. Sono queste le categorie di lavoratori meno a rischio Alzheimer. Ad affermarlo sono i ricercatori dell’Alzheimer Disease Research Center nel Wisconsin. I risultati sono stati presentati all’Alzheimer’s Association International Conference in corso a Toronto. Il segreto? Un giusto mix di attività mentale e relazioni interpersonali.

Secondo le ultime stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2050 le persone colpite da Alzheimer saranno più di 107 milioni. Un numero impressionante che inciderà in maniera notevole sui conti dei sistemi sanitari nazionali. Il morbo, la devastante malattia neurodegenerativa osservata per la prima volta nel 1906 dal medico tedesco Alois Alzheimer, si caratterizza per il progressivo decadimento delle funzioni cognitive. Caratteristica comune a tutti i malati è la presenza di ammassi neurofibrillari e placche amiloidi a livello del cervello. Nonostante gli oltre 200 farmaci testati finora, una cura non esiste. L’Alzheimer rappresenta uno dei fallimenti più drammatici della medicina, a dispetto dell’accelerazione delle ricerche e della massa degli investimenti.

Che dire allora della prevenzione?

Diversi studi dimostrano che l’attività fisica in particolare giova al cervello. Oggi abbiamo la dimostrazione scientifica che i neuroni, in assenza di malattie, non invecchiano. Non solo, posso addirittura rigenerarsi. Quanto all’attività mentale invece l’ultima ricerca presentata è in linea con quanto si afferma: un’intensa attività cerebrale può ridurre le possibilità di insorgenza della malattia. Nello studio gli scienziati statunitensi hanno esaminato le iperintensità della sostanza bianca - le macchi bianche visibili con la risonanza magnetica cerebrale e associate con la malattia neurologica - in 284 persone di mezza età, considerati a rischio demenza.

I più protetti da tali danni sono risultati avvocati, assistenti sociali, insegnanti e medici, i più vulnerabili invece gli addetti agli scaffali in magazzini e supermercati, cassieri, operai. Ma a difendere dalla malattia ruba-memoria non è tanto il fatto che si tratta di professioni «intellettuali», quanto la relazione con gli altri - evidenzia una dei ricercatori, Elizabeth Boots- e l’impegno nei loro confronti, che può risultare stressante, ma contribuisce a rendere il cervello più resiliente all’Alzheimer.

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