La vitiligine è un disordine autoimmune che si caratterizza per la comparsa di macchie bianche ben delimitate che possono comparire su tutto il corpo, specialmente a livello di dorso delle mani, braccia, aree periorifiziali (come quella perioculare e periorale) ginocchia, piedi, oppure solo su una parte del corpo.

La malattia, che colpisce indistintamente uomini, donne e bambini compare per la scomparsa localizzata dei melanociti, le cellule responsabili della pigmentazione della pelle, danneggiate delle cellule del sistema immunitario (linfociti). Per tale motivo la vitiligine è classificata come disordine autoimmune perché a un certo punto le difese immunitarie dei pazienti affetti, riconoscono come estranei i melanociti dislocati in alcune parti del corpo e li attaccano: ecco perché compaiono le antiestetiche zone depigmentate. Ci sono poi dei fattori scatenanti, che possono precedere l’insorgenza della malattia o che possono determinare periodi di peggioramento delle lesioni quali eventi stressanti per l’organismo, traumi cutanei come ad esempio ustioni solari, esposizione ad alcune sostanze chimiche di tipo professionale.


Non esistono trattamenti risolutivi

La vitiligine non è una malattia contagiosa e le macchie non sono dolorose e neppure l’esserne affetti pregiudica l’aspettativa di vita. Le ripercussioni sono essenzialmente di tipo psicologico; le macchie creano imbarazzo e disagio. «L’assenza di melanina predispone alle ustioni solari, ecco perché è importante proteggere le chiazze con opportuna protezione solare. Purtroppo non vi sono trattamenti che possano risolvere la vitiligine in modo definitivo, né in grado di fermarne l’estensione. I trattamenti disponibili hanno lo scopo di indurre una ripigmentazione della cute- chiarisce Bianca Maria Piraccini, Professore Associato in dermatologia dell’Università di Bologna che aggiunge -Nelle forme lievi e localizzate di vitiligine, quando cioè le macchie interessano meno del 10% della superficie cutanea, sono efficaci diversi farmaci per uso topico quali i corticosteroidi e gli inibitori delle calcineurine come pimecrolimus e tacrolimus, disponibili in creme o unguenti. Nelle forme più gravi è utile la fototerapia. Si tratta di una terapia ospedialiera, che consiste nell’esposizione delle aree malate a luce UVA o UVB emessa da apposite lampade. La terapia con UVA è associata all’assunzione orale di farmaci gli Psorialeni o alla loro applicazione locale».

Camouflage

Un’altra opportunità per convivere con la vitiligine è offerta dal camouflage come spiega ancora l’esperta: «Il camouflage è una tecnica per camuffare le aree affette da vitiligine, quindi di colore bianco, rendendole non distinguibili dalla cute sana. Si tratta di creme pigmentate, appositamente realizzate per abbinarsi al colore naturale della pelle di ciascun paziente, da applicare sulle macchie bianche. La crema colora le macchie bianche come il resto della pelle, rendendole meno evidenti. Le creme per camouflage sono impermeabili e possono essere applicate in qualsiasi parte del corpo. La pigmentazione dura fino a quattro giorni sul corpo e dalle 12 alle 18 ore sul viso. Ne esistono anche con filtri protettivi solari».

Nuove prospettive

Durante l’ultimo congresso mondiale di dermatologia che si è svolto a giugno a Milano, ricercatori del Tufts Medical Center di Boston hanno presentato dati incoraggianti circa il trattamento della vitiligine per via topica con creme a base di ruxolitinib. «Questo farmaco agisce interrompendo la cascata dei mediatori infiammatori alla base delle reazioni immunitarie ed è normalmente usato per via sistemica nella terapia di diverse gravi malattie autoimmuni. L’applicazione locale sulle chiazze affette da vitiligine ha mostrato che i ruxolitinib esplica una buona attività ripigmentante. Nello specifico la sua azione è complementare e di potenziamento nei confronti delle terapie disponibili attualmente per la vitiligine. Gli studi fin’ora effettuati, inoltre, anche se condotti su un numero ristretto di pazienti ne hanno confermato un buon profilo di tollerabilità» conclude la professoressa Piraccini.