Lo screening per il tumore del colon-retto può salvare la vita. Come? Attraverso una maggiore probabilità di diagnosticare la malattia in fase meno aggressiva, aspetto cruciale per migliorarne i tassi di sopravvivenza. A confermare il beneficio dell’approccio garantito dal Servizio Sanitario Nazionale nella fascia di età compresa tra i 50 e i 69 anni (con cadenza biennale) è uno studio pubblicato sull’«International Journal of Cancer» da un gruppo di epidemiologi italiani, che dimostra come i soggetti che si sono sottoposti allo screening, abbiano il doppio di probabilità (rispetto a coloro non invitati) di scoprire un tumore al primo stadio e non già in fase metastatica. Un'evidenza che, tradotta, equivale ad avere molte più chance di sopravvivere alla malattia.

Lo screening del tumore del colon salva la vita

A queste conclusioni gli esperti sono giunti dopo aver analizzato i dati relativi a oltre undicimila casi di tumore maligno del colon-retto diagnosticati tra il 2000 e il 2008 in diversi centri sparsi lungo la Penisola. Tutti i pazienti presi in considerazione avevano tra 50 e 71 anni e rientravano dunque appieno nella fascia coperta dallo screening, ma soltanto la metà vi aveva aderito. Considerando questa differenza, gli esperti hanno potuto misurare l’impatto dell’indagine sulla gravità della diagnosi.

È così emerso che, nella maggior parte dei casi, l’adesione allo screening aveva permesso di scoprire malattie meno diffuse e dunque più facilmente curabili. Prova ne è il fatto che, dal confronto tra i due gruppi, l’incidenza dei tumori metastatici è risultata inferiore del 70 per cento tra coloro che avevano risposto alla chiamata della propria azienda sanitaria.

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«Si tratta di un risultato importante, che mette in risalto l’impatto dei programmi di screening su questa malattia - afferma Massimo Vicentini, epidemiologo dell’Ausl di Reggio Emilia e primo autore della ricerca: a cui hanno partecipato anche l’Osservatorio Nazionale Screening, l’Istituto per la Prevenzione e la Ricerca sul Cancro di Firenze e il Registro Tumori Veneto -. Oltre alla riduzione della mortalità e dell’incidenza, cioè del numero di casi di cancro, anche i controlli sono in grado di ridurre la gravità dei tumori che rimangono, facendo diminuire così le sofferenze per i pazienti».

Screening a cadenza biennale (50-69 anni)

Se non tutte le diagnosi di cancro possono essere evitate, lo screening è da considerare un’opportunità per avere maggiori chance di superare la malattia. I risultati dell’ultimo lavoro si pongono sulla stessa linea tracciata lo scorso anno dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc), secondo cui la diagnosi precoce contribuisce a ridurre la mortalità per quella che è la seconda neoplasia più diffusa tra le donne (dopo il cancro al seno) e la terza tra gli uomini (dopo i tumori della prostata e del polmone).

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L'approccio in uso nel nostro Paese prevede che, tra i 50 e i 69 anni, a cadenza biennale, uomini e donne effettuino su invito della propria Asl il test del sangue occulto nelle feci. L’esame consiste nella raccolta (eseguita a casa) di un campione di feci e nella ricerca (in laboratorio) di tracce di sangue non visibili a occhio nudo. Poiché i tumori del colon-retto si sviluppano a partire da piccole formazioni benigne (polipi), che possono sanguinare già diversi anni prima della comparsa di altri disturbi, questo esame è indicativo. In caso di positività, il paziente è poi sottoposto alla colonscopia, mirata a confermare la presenza del tumore. Seguendo questo protocollo, secondo lo Iarc, la riduzione della mortalità è calcolabile tra il 9 e il 32 per cento.

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Adesione ancora troppo bassa

Detto questo, il problema dell'Italia rimane ancora la bassa adesione agli screening (quello per il colon fa registrare performance inferiori rispetto a quelli per il tumore al seno e della cervice uterina). La copertura è in progressivo aumento: nel 2017 il 75 per cento degli aventi diritto è stato chiamato dalla propria Asl per sottoporsi allo screening per il tumore del colon-retto. Ma se al Nord alla chiamata hanno risposto oltre 9 adulti su 10, la quota risulta dimezzata (4,3 su 10) nelle regioni meridionali. Secondo Marco Zappa, direttore dell’Osservatorio Nazionale Screening, la colpa è con ogni probabilità «della diffusa sfiducia nella struttura pubblica che, anche quando risulta attiva, non riesce a persuadere i propri assistiti». Un’ipotesi che risulta suffragata dai bassi tassi di adesione nel Mezzogiorno, dove mediamente il ricorso ai servizi sanitari è inferiore. Emblematico, a riguardo, il caso della Puglia, dove di fatto l’offerta dello screening per il tumore del colon-retto non è mai partita.

Twitter @fabioditodaro