«Là fuori è una giungla!». Quante volte abbiamo sentito questa frase utilizzata per descrivere un mondo lavorativo difficile, il convulso traffico cittadino, o persino l’ambito complicato delle relazioni affettive.

Sono tanti i contesti della vita quotidiana in cui spesso capita di «lottare per la sopravvivenza», anche se non si tratta della salvaguardia della propria esistenza fisica.

Licenziamenti, divorzi, lutti, fallimenti economici, malattie, invalidità: la tecnologia e la vita cittadina non risparmiano da disastri e dolori che possono letteralmente spezzare una persona, a livello interiore, sociale o finanziario.

Ecco perché gli atteggiamenti, le risposte mentali ed emotive di un’attività come il Survival (l’addestramento alla sopravvivenza) possono offrire utili spunti anche per la vita di tutti i giorni ponendoci in grado di riconoscere dinamiche, comportamenti e fenomeni che affondano le radici nella nostra natura ancestrale.

Su tutto, la legge-base della sopravvivenza che è sempre la stessa: capacità di un veloce adattamento. Ce lo insegna l’estinzione dei dinosauri, avvenuta circa 66 milioni di anni fa: all’impatto dell’asteroide che sconvolse il clima del pianeta azzerando il 75% della fauna marina e continentale, sopravvissero solo piccoli mammiferi grandi appena come grossi ratti. Oltre alle dimensioni, le loro caratteristiche alimentari, comportamentali e riproduttive consentirono a questi animali di adattarsi al nuovo clima, sopravvivere e dare il via a una lunga e prolifica evoluzione.

Tuttavia, per gli esseri umani, la capacità di adattarsi – e quindi di sopravvivere - non coincide con il subire passivamente una situazione sfavorevole o negativa. Semmai l’accettazione iniziale, il non rimuovere un problema, è fase propedeutica e indispensabile per poi passare all’azione efficacemente. Il non integrarsi con l’ambiente, infatti, sfruttandone poco o niente le risorse e le possibilità, compromette in modo incalcolabile il successo dell’impresa. Al contrario, trovare uno scopo, una meta è, invece, un aiuto fondamentale: pianificare significa ammettere l’esistenza di un futuro. Avere la certezza di un obiettivo, è un arma a disposizione formidabile.

Si comprende bene come l’aspetto psichico diventi, quindi, il fattore assolutamente più importante.

L’esperto di tecniche di sopravvivenza Fabrizio Nannini (foto qui sopra), nel suo «Mental survival» (Hoepli ed.) è riuscito a sintetizzare le più recenti scoperte nell’ambito delle neuroscienze e ad organizzarle in un agile volume dedicato all’allenamento mentale per questo genere di attività. «Ogni indotto delle nostre sensazioni, delle nostre azioni e del nostro comportamento – spiega Nannini - può fare la differenza (reale), tra vivere e morire, o tra soffrire e godere dell’esistenza. L’importante è capire la situazione. Dirigere poi il tipo di azione in modo funzionale alla sopravvivenza è una scelta personale».

Può sembrare banale, ma una delle prime risorse in una situazione di crisi è la capacità di non perdere il controllo. Vivere il trauma iniziale senza alterazioni della percezione, senza reazioni nevrotiche o scomposte, è fondamentale. Il survivor può manfestare una risposta psicosomatica involontaria, ma la neocorteccia cerebrale ha il controllo sul sistema limbico (la razionalità controlla le emozioni), del quale però sfrutta l’istintività e la corretta (purché allenata) reazione immediata. Con l’aiuto della respirazione una persona in pericolo, ma addestrata a sopravvivere, può mantenere uno stato di allerta elevato, contemporaneamente non iperattivo né controproducente. Ha una risposta coordinata, pensa velocemente e lo fa prima di agire, analizzando la situazione circostante interamente in ogni momento.

Oltre al controllo delle proprie condizioni e di quelle dei compagni di sventura, tra le altre risorse mentali vi è il cosiddetto KISS, ovvero l’acronimo di «Keep It Simple Stupid» (falla stupidamente semplice). Un americanismo che invita a risolvere una situazione nel modo più elementare possibile. I sistemi funzionano meglio se sono semplici e servono a minimizzare lo sforzo massimizzando la resa.

Ancor meno scontata, la capacità di non procrastinare: un survivor non rimanda per nessun motivo l’affrontare un problema. Sa che rimandare significherebbe soltanto spostarlo ad un momento successivo dove potrebbe non essere più in grado di intervenire. Ad esempio, una piccola ferita potrebbe infettarsi, se non curata subito.

Già da questi brevi cenni si può avere un’idea di quanto un approccio «survivalistico» possa essere sovrapposto alla vita di tutti i giorni. Nel prossimo appuntamento indagheremo altri elementi strategici di base per decodificare l’istinto primario per eccellenza, quello dell’autoconservazione.