Ci sono studenti universitari alla ricerca di una facile concentrazione e professionisti di ogni tipo, medici, camionisti e imprenditori, che puntano a combattere la stanchezza per aumentare la produttività.

L’uso di sostanze cosiddette «smart» è una pratica molto più diffusa di quanto non si pensi. In genere, sono farmaci registrati e approvati per la depressione o altre malattie neurologiche e psichiatriche come ad esempio il disturbo post-traumatico da stress o il deficit di attenzione. Non certo pensati per altri usi sui sani, queste molecole danno l’effetto ricercato ma chi li assume trascura i possibili effetti collaterali, inclusi quelli di una loro assunzione combinata e prolungata nel tempo. Anche perché ancora oggi mancano studi che ne traccino le conseguenze d’uso sui sani. Ce ne parla la giornalista scientifica Johann Rossi Mason nel suo ultimo libro «Cervello senza limiti» (Codice Edizioni), un’inchiesta sul cosiddetto «brain enhancement», il potenziamento delle nostre capacità mentali con farmaci, smart drug e neurostimolazione.

Aspirare a migliorarsi è proprio della natura umana. Chi non vorrebbe avere più memoria o essere più intelligente e capace? Ma rispetto alla cura di disabilità fisiche congenite o indotte da traumi, attraverso protesi o interventi chirurgici, e al ripristino delle nostre capacità fisico-motorie già praticata in medicina e universalmente accettata, e rispetto al potenziamento delle proprie capacità fisiche, come accade diffuso fenomeno del doping nello sport, quando si passa alle capacità cognitive, gli interventi migliorativi sono più controversi e sicuramente molto difficili da quantificare.

Le sostanze si chiamano atomoxetina, metilfenidato, modafinil, adrafinil, ma anche noopept e racetam e sono molecole che possono migliorare i processi decisionali, la concentrazione e la memoria, la lucidità e controllo di sé. E, come spiega Rossi Mason, i dati sulla loro diffusione provengono principalmente da indagini condotte negli atenei del mondo. Nel suo libro-inchiesta, la giornalista ricorda che le sostanze capaci di cancellare la paura e sciogliere le inibizioni accompagnano da sempre l’essere umano che va alla guerra. Il captagon (cloridrato di fenetillina), composto di anfetamine e altre sostanze stimolanti, chiamato anche la droga della Jihad, è stato trovato anche nella casa di Salam Abdeslam, uno degli attentatori di Parigi del 13 novembre 2015.

Ma in un contesto civile, sono in molti a ritenere che la ricerca di nuove (e vecchie) molecole neuroattive potrebbe aiutare non solo i malati. Si pensi ad esempio alla possibilità di avere chirurghi più lucidi, piloti di aereo più reattivi ma anche anziani senza i fisiologici disturbi cognitivi che compaiono con l’età. Cosa ci sarebbe di male in un «aiutino» farmacologico per far invecchiare in salute il nostro cervello? Non c’è una risposta semplice, tanto che le questioni bioetiche sollevate dal potenziamento cerebrale sono sul tavolo un po’ in tutto il mondo.