Si chiamano «Berardinelli», «Lawrence» e «Barraquer-Simmons» - dal nome dei loro scopritori - e sono un gruppo di disturbi caratterizzati dalla perdita di grasso localizzata, di origine genetica o acquisita. Messi insieme, costituiscono le sindromi lipodistrofiche: un gruppo eterogeneo di disturbi caratterizzati dalla perdita di tessuto adiposo in assenza di deficit nutrizionali. Classificarle correttamente è fondamentale, dato che ognuna ha caratteristiche precise: la forma congenita generalizzata, quella familiare parziale, la generalizzata acquisita e la parziale acquisita. Disturbi rari, ma sui quali negli ultimi anni si è concentrata la ricerca che ha permesso di osservare un numero sempre maggiore di pazienti, individuare trattamenti efficaci e migliorare la vita di queste persone.

Lipodistrofie: di cosa si tratta?

Le sindromi lipodistrofiche sono state al centro del «Cuem 2019», il congresso di endocrinologia tenutosi all’Irccs San Raffaele di Milano. La riduzione o la mancanza di tessuto adiposo sottocutaneo, possono avere gravi conseguenze sulla salute dell’individuo. Il grasso corporeo è un elemento indispensabile. Quando è insufficiente, il corpo immagazzina i grassi in sedi improprie, tra cui gli organi interni e i muscoli. «Nonostante per queste malattie non esista una cura definitiva, le terapie permettono di limitare l’insorgenza e l’impatto delle complicazioni più comuni - afferma Andrea Giustina, ordinario all'università Vita-Salute San Raffaele e presidente della Società Europea di Endocrinologia -. In questi pazienti la mortalità precoce è spesso dovuta a insufficienza renale e cardiaca, infarto del miocardio, malattie del fegato, pancreatiti acute e infezioni diffuse e complesse».

Condizioni che si determinano perché le lipodistrofie innescano una serie di disturbi metabolici severi e invalidanti: a partire dal diabete e dall’alto livello dei trigliceridi nel sangue, entrambi dovuti all’accumulo di grasso in sedi improprie.

L'importanza di una corretta diagnosi

Uno dei sintomi più frequenti delle lipodistrofie è l’iperfagia. Chi ne soffre, risulta spesso alla ricerca di cibo in quantità. Il segnale è dovuto alla carenza di leptina, uno degli ormoni che regola il senso di sazietà. Se la leptina è assente o significativamente ridotta, tutti questi processi che avvengono nel nostro corpo sono alterati. Partendo da qui, è necessario giungere quanto prima a una diagnosi corretta. «Occorre evitare di scambiare questa malattia con altre che possono avere manifestazioni simili - prosegue Giustina -. A causa della loro rarità, le lipodistrofie vengono talvolta confuse con l’anoressia nervosa, con la cachessia dovuta a tumore o con altri disturbi endocrinologici come l’acromegalia o la sindrome di Cushing».

L'identificazione della malattia è il primo passo per avviare la terapia, che al momento può contare su un solo farmaco (la metreleptina): considerato il trattamento di prima linea per tenere sotto controllo le complicazioni metaboliche negli adulti e prevenirle nei bambini.

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