Non è ancora un grido di allarme, ma potrebbe presto diventarlo. La presenza di residui di plastiche negli alimenti è un tema che preoccupa i consumatori e che tiene sulle spine la comunità scientifica. Risposte certe sulle possibili conseguenze per la salute, al momento, non ve ne sono. Ma questo non è sufficiente per fornire rassicurazioni alla sempre più ampia platea di persone che chiede conto. Da qui l’appello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha pubblicato un rapporto per fare il punto sullo stato dell’arte delle conoscenze che riguardano il possibile impatto sulla salute derivante dalla presenza di microplastiche nell’acqua potabile . «Abbiamo urgente bisogno di conoscere meglio quale sia il loro impatto sulla salute», è la sintesi degli esperti, che chiedono a questo punto un'ulteriore valutazione della presenza di queste sostanze nelle acque che beviamo e delle loro conseguenze sul nostro organismo.

Microplastiche e salute: cosa sappiamo?

I potenziali pericoli associati alla presenza delle microplastiche presenti nell'acqua potabile, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, sono di tipo fisico (collegato al loro accumulo) e chimico (collegato alla loro tossicità), ma vi è anche la possibilità che possano essere veicolo per l'ingestione di microbi patogeni. Dall'esame della letteratura scientifica disponibile, sono stati identificati solo nove studi che hanno misurato le microplastiche nell'acqua potabile. Nei singoli campioni, sono stati riportate da zero a diecimila particelle per litro. «In base alle informazioni limitate che abbiamo, le microplastiche nell'acqua potabile non sembrano rappresentare un rischio per la salute ai livelli attuali - afferma Maria Neira, direttore del Dipartimento di sanità pubblica e ambiente dell'Oms -. Ma abbiamo urgentemente bisogno di saperne di più». I dati oggi disponibili, secondo il rapporto, sono infatti estremamente limitati, «con pochi studi completamente affidabili», spesso realizzati utilizzando «metodi e strumenti diversi per campionare e analizzare particelle di plastica». Dunque è necessario sviluppare «metodi standard per misurare la presenza e per studiarne le fonti», così come per valutarne le conseguenze sull'organismo.

Rischi maggiori se le particelle sono più piccole

Le microplastiche provengono dalla degradazione di oggetti e tessuti sintetici che entrano nel ciclo dell'acqua potabile, per esempio attraverso le acque reflue o scarichi industriali. Ma anche le stesse bottiglie di plastica e i tappi possono esserne fonte. Comprendono una vasta gamma di materiali, con diverse composizioni chimiche (come polietilentereftalato e polipropilene), diverse forme (fibre o frammenti) e diverse dimensioni (da 5 millimetri a meno di un micrometro). Si ritiene che le microplastiche superiori a 150 micrometri vengano espulse dall'organismo con la digestione e che anche l'assorbimento di particelle più piccole sia limitato. Tuttavia, «l'assorbimento di nanoparticelle può essere più elevato», perché attraverso il sistema linfatico e il sangue possono raggiungere organi, come fegato e reni. I sistemi di trattamento delle acque reflue e potabili sono efficaci anche nella rimozione del 90 per cento delle microplastiche, ma una parte significativa della popolazione mondiale «attualmente non ne beneficia». Oltre a favorirne quanto più possibile l'utilizzo, conclude l'Organizzazione Mondiale della Sanità, è urgente «fermare l'aumento dell'inquinamento da plastica in tutto il mondo», diminuendone l'uso e migliorandone il riciclo.

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