«La notte è silenziosa e nel suo silenzio si nascondono i sogni» recitano le parole del poeta Kahlil Gibran. Se pur circondati dal silenzio, i sogni in realtà possono nascondere una frenetica attività cerebrale. La neurobiologia dei sogni inizia negli anni Settanta, eppure si tratta di un campo ancora ostico da decodificare.

«E’ molto difficile registrare i sogni nel momento fisiologico» commenta Paolo Amami, neuropsicologo e psicoterapeuta dell’ospedale Humanitas. «Per anni ci si è affidati al resoconto diretto dei soggetti».

Il metodo classico per tentare di intrufolarsi nei sogni era l’elettroencefalogramma che ha permesso di studiare le diverse fasi del sonno. Nel 1953 viene identificata la fase REM (Rapid Eye Movements, cioè quella in cui gli occhi guizzano velocemente sotto le palpebre), che venne caratterizzata dalla presenza del ricordo dei sogni. Si svegliavano i pazienti per capire la frequenza dei sogni e gli individui risvegliati da questa fase riportavano l’esperienza onirica con una probabilità molto elevata, di circa il novanta per cento. Al contrario, gli stessi individui, risvegliati dalle altre fasi del sonno, collettivamente etichettate come non REM riportavano un sogno con una frequenza molto inferiore.

«La fase REM resta la più produttiva, ma ora noi sappiamo che i sogni avvengono anche in altri momenti del sonno» continua Amami, «Semplicemente non li ricordiamo. Mentre i sogni REM sono vividi e caratteristici per la loro stranezza, pare che quelli che avvengono durante il sonno profondo siano più normali: collegati ad eventi della vita quotidiana, più monotoni, e di solito anche più difficili da ricordare».

Ora si possono applicare altre tecniche, prima tra tutte di neuroimaging funzionale che permette di visualizzare in diretta, in vivo, quali aree del cervello si attivino o si spengano durante qualsiasi momento cognitivo. «Ma sul significato dei sogni, ancora non ci sono dati conclusivi. E’ un dibattito ancora tutto aperto, lungo secoli. Si pensa che il sogno, per quanto bizzarro, sia un processo cognitivo che aiuterebbe i meccanismi di consolidamento della memoria o che darebbe seguito a processi di elaborazione emotive già in corso durante la veglia” spiega Amami.

Un approccio che sta offrendo informazioni utili, se pure frammentarie, deriva dai pazienti con lesioni cererali, per vedere se ci siano alterazioni nei sogni. Le vie neuronali del cosiddetto ponte di Varolio, che regola i cicli sonno veglia, possono alterare la fase onirica. I pazienti affetti da una rara condizione, la sindrome di Charcot-Wilbrand, non sognano, perchè sono colpiti da una lesione in una parte della corteccia visiva nota come giro fusiforme inferiore. Gli individui con problemi nelle aree temporo-parieto-occipitale, legate alla funzione visiva e spaziale, sognano in bianco e nero. In pazienti con lesioni nella corteccia prefrontale ventro-mediale, adibita all’elaorazione emotiva, si registra un aumento dell’intrusione di sogni in attività di veglia. Nelle malattie neurodegenrative si riscontra un disturbo della fase REM (RBD), in cui di solito si ha atonia muscolare. Il disturbo del sonno REM, in cui viene a mancare la fase atonica per via del cattivo funzionamento dei neuroni che dovrebbero paralizzarci i muscoli durante il sogno per evitare movimenti inconsulti e pericolosi, sfocia in sogni orrifici. Ne riporta testimonianza nella maggior parte dei casi il partner di letto che e’ spesso vittima di calci e pugni!

A questo proposito, secondo uno studio svolto da ricercatori del Centro di Medicina del sonno di Niguarda, si potrebbe comprendere meglio alcuni fenomeni relativi a certi disturbi del sonno, in particolare proprio il disturbo della fase REM (RBD), caratterizzato come abbiamo visto dalla comparsa di movimenti agitati nel sonno. Lo studio ha infatti dimostrato che, nonostante la atonia che caratterizza la fase REM del sonno, la corteccia motoria (l’area del cervello alla base dei movimenti), durante la fase del sonno in cui generalmente si sogna, è attiva come se si stessero compiendo dei movimenti volontari in stato di veglia, come ad esempio muovere una gamba, ma diversi da quelli esibiti nella veglia a riposo.

«Inoltre, il disturbo comportamentale della fase REM potrebbe essere un campanello d’allarme che segnala con anni di anticipo l’arrivo di una malattia neurodegenerativa. E’ stato osservato che la maggioranza delle persone che soffre di RBD finisce per sviluppare malattie neurologiche con accumulo di una particolare proteina, la alfa-sinucleina, come nel caso di Parkinson e la demenza da corpi di Lewy» spiega Amami.

Nel campo ancora rarefatto della scienza onirica, i cacciatori di sogni hanno individuato nella dopamina una molecola con potenziale ruolo nella formazione dei sogni.«Monitorando l’attività di un gruppo di volontari durante il sonno, con tecniche di neuroimmagine abbiamo constatato che c’è un rapporto che lega il mondo onirico alla produzione di dopamina» spiega Gianfranco Spalletta dell’Università La Sapienza di Roma, dell’IRCCS Santa Lucia.

«Abbiamo preso in esame la malattia di Parkinson come modello di riferimento in quanto i malati affetti da questa patologia hanno una carenza di dopamina. Abbiamo scoperto che la nitidezza dei sogni dipendeva dal dosaggio dei farmaci dopaminergici: più veniva aumentato il livello di dopamina nei circuiti cerebrali recettivi a questo neurotrasmettitore, maggiori erano le possibilità che al risveglio i pazienti ricordassero perfettamente quanto sognato» spiega Spalletta. Confrontando le analisi si è osservato che nei pazienti affetti da Parkinson il dosaggio dei farmaci dopaminergici assunti è associato a un ricordo affievolito dei sogni, che risultano meno bizzarri e meno intensi dal punto di vista emotivo. La qualità del ricordo del sogno è legata alla quantità di dopamina nel cervello. Gli scienziati hanno anche analizzato il volume di alcune regioni del cervello, osservando che la nitidezza visiva dei sogni è associata al volume dell’amigdala (formazione ovale di sostanza grigia, che fa parte del sistema limbico ed è la centrale di controllo delle emozioni, e in particolare della paura), mentre il minor carico emozionale sembra dipendere dal volume dell’ippocampo, che sovraintende alla memoria episodica e all’apprendimento.

La scienza piano piano sta raccogliendo informazioni per capire cosa possano rivelare i sogni. “Non si è ancora arrivati ad una risposta univocal”, commenta Spalletta. Sigmund Freud, uno dei padre fondatori della psicoanalisi, parlava dell’inconscio e nei sogni vedeva la strada maestra per raggiungere la parte dell’inconscio che noi rimuoviamo. I sogni, secondo Freud, fungevano da guardiano, per comprendere i nostri contenuti e impulsi inconsci, e la mente trasforma i segnali dell’inconscio in sogno. Se gli impulsi si manifestassero improvvisamente avrebbero un impatto dirompente e dunque, per dar loro voce, la mente li trasforma in immagini visive spesso senza un apparente flusso logico. “Freud aveva avuto una intuizione visionaria ed è stato il primo a mettere veramente i sogni nel dominio di ciò che ora chiameremmo neuroscienze, ma non aveva ovviamente gli strumenti che abbiamo noi ora” conclude Spalletta.