La prevenzione al suicidio è possibile. Ed è per questo che la terza stagione della serie americana «13 Reasons Why» («13» in Italia, in onda da poche settimane), continua a scatenare un putiferio. La storia si basa sul bestseller di Jay Asher, in cui si narra la vicenda di un’adolescente, che prima di commettere suicidio, raffigurato con dettagli minuziosi, registra 13 cassette audio. Ogni cassetta è indirizzata ad una persona che ha avuto un ruolo, secondo la protagonista, nella sua tragica ed estrema decisione, in una sorta «suicidio per vendetta».

L’enorme successo di pubblico si è dovuto confrontare con un altrettanto intenso dibattito tra genitori, insegnanti e professionisti sull’impatto che certe tematiche, e il modo di affrontarle, come il suicidio, possano avere sugli adolescenti.

Fatto sta che la International Association for Suicide Prevention (IASP) si è espressa con toni assolutamente negativi nei confronti di 13. Vladimir Carli, psichiatra e ricercatore presso il Karolinska Institute a Stoccolma, si occupa di prevenzione del suicidio negli adolescenti e coordina progetti di ricerca internazionali sulla questione.

Sono fondate le critiche di IASP?
«Assolutamente sì. C’è un grande errore di fondo nella serie, che è quello di ignorare completamente la presenza di problemi di depressione e salute mentale. Il suicidio è dipinto come una conseguenza di eventi estranei. Ma non è affatto così, perché di solito il desiderio di suicidio deriva da un’interazione complessa tra fattori esterni ed interni all’individuo, La serie viola in modo assoluto le line guida dell’Ordine Mondiale della Sanità, dando un’aurea di glorificazione al suicidio, quasi romanticizzandolo. E’ un argomento complesso ed è sbagliato semplificare. Ci sono mille sfaccettature che non vengono in alcun modo sfiorate nella serie. I personaggi sono poco approfonditi e i loro malesseri e bisogni pure».

Una delle critiche più severe è il rischio di emulazione. Esiste il contagio del suicidio?
«Il contagio esiste e viene descritto in letteratura. Il rischio, però, riguarda le persone già vulnerabili, per questo non mi piace la drammatizzazione del dibattito sul rischio tout court. E’ vero anche che sulla maggioranza della popolazione non ha alcun effetto. Può creare qualche sentimento di angoscia per un breve lasso di tempo, ma poi il disagio scompare. Invece, sulle persone già vulnerabili la visione di un suicidio nei media, se mal gestita, può avere un effetto devastante. La ricerca ha dimostrato che la rappresentazione dettagliata di un suicidio nei media aumenta il rischio di suicidio dall'81% al 175% nelle settimane e nei mesi immediatamente successivi alla sua visione. Di nuovo, la serie si scontra completamente le linee guida sulle modalità di affrontare un suicidio nei media. Ad esempio, la prima raccomandazione è quella di non fare vedere l’atto in sé».

Si può prevenire il suicidio negli adolescenti?
«Ovviamente non esiste una semplice ricetta per prevenire il suicidio e il campo di ricerca della prevenzione del suicidio è molto ampio, ma direi di sì, la prevenzione si può. Cominciamo ad avere una buona conoscenza di ciò che la società può fare per migliorare la salute mentale dei giovani e per prevenire nuovi suicidi. Esistono dei modelli scientifici che si dimostrano efficaci. La cosiddetta prevenzione primaria (universal school-based suicide prevention programs) verte su programmi svolti a tutta la popolazione nelle scuole, Questo modello, il più efficace, punta soprattutto alla consapevolezza nei ragazzi, insegnando direttamente ai singoli a riconoscere i propri campanelli di allarme e, in caso di depressione, a chiedere aiuto e a chi. In seguito a questo tipo di prevenzione, è stata riportata una riduzione del 50% del tentativo di suicidio. Un’altra modalità lavora su programmi di comunità più ampia condotti da gatekeepers (sentinelle), cioè gli adulti più a contatto con i ragazzi, spesso gli insegnanti, che poi hanno il compito di segnalare eventuali problemi ai professionisti. Funziona un pò come per il il massaggio cardiaco, che tutti possono imparare e utilizzare in un momento critico, in attesa dell’arrivo del medico. In questo modello, si è osservato che l'80% dei ragazzi che hanno pensieri di suicidio hanno comunicato il loro proposito».

Il suicidio è un fenomeno in aumento?
«Nel mondo ci sono 800.000 suicidi all’anno. Nei giovani tra i 15 e i 29 anni rappresenta la seconda causa di morte – la prima in Svezia, la seconda in Italia. Il 4,2% degli adolescenti tenta il suicidio. Al di là di queste cifre, però, il tasso di suicidio sta diminuendo in tutte le fasce di età, tranne tra gli adolescenti, dove resta costante».