Le chiamiamo, tutti o quasi, emorroidi: pensando di indicare così un problema di salute, non invece qualcosa che fa parte del nostro corpo dalla nascita. Sì perché, come spiega Andrea Bondurri, proctologo dell’ospedale Sacco di Milano e membro del consiglio direttivo della Società Italiana di Chirurgia Colo-rettale, «il problema non sono le emorroidi in quanto tali, ma la sindrome emorroidaria, che si ha nel momento in cui le vene emorroidali si infiammano e dilatano, formando della varici e provocando, a seconda dei casi dolore, prurito, senso di protrusione e sanguinamento».

Un disturbo di cui, nell’arco della vita, arriverebbe a soffrire un adulto su due: secondo le stime di diversi studi, considerate attendibili dagli esperti. Ma una precisazione, visti questi numeri, è doverosa. In buona parte dei casi, il problema può regredire da solo. Diversamente, variegato è il ventaglio delle opportunità terapeutiche: dalla correzione degli stili di vita alla chirurgia, passando per altre opzioni meno invasive.

Non sottovalutare il sanguinamento

La malattia si manifesta nel momento in cui i «cuscinetti» localizzati nell’ultimo tratto dell’intestino - le emorroidi, per l’appunto: determinanti nel regolare la continenza fecale - si gonfiano e diventano dolorose. A quel punto possono rimanere all’interno o fuoriuscire dall’ano: aspetto che le rende più facili da riconoscere. La malattia non sempre provoca il sanguinamento, che «non va però mai sottovalutato: perché può dipendere da questo problema ma anche da altri - prosegue lo specialista -. Come le ragadi o i diverticoli, ma in realtà il sangue nelle feci può essere anche la spia di un tumore del colon-retto».

Come intervenire, se necessario?

«La chirurgia è necessaria in meno di un caso su dieci - chiarisce Bondurri -. Occorre intervenire di fronte a un sanguinamento importante, che rischia di rendere il paziente anemico. Più in generale, la chirurgia aiuta queste persone a migliorare la qualità della propria vita. Più che per gradi, si ragiona sulla base della tollerabilità del problema».

Di conseguenza, le soluzioni sono diverse. La scleroterapia, attraverso un’iniezione nel vaso che sanguina, interrompe l’emorragia e il prolasso. Lo stesso obiettivo è raggiungibile attraverso gli infrarossi: ma queste due opzioni non sempre risultano risolutive nel tempo, motivo per cui sono da escludere in caso di recidiva. In ogni caso - sebbene gli interventi avvengano ormai in ambulatorio o comunque nell’arco di una giornata con il ricovero per una notte - al paziente dopo è consigliato un periodo di riposo.

«Dal giorno dopo si può tranquillamente camminare - chiosa Bondurri -. Ma stare seduti a lungo non è consigliabile, così come effettuare sforzi fisici notevoli. Ecco perché, se si può, si dovrebbe rimanere lontani dal luogo di lavoro almeno per una settimana».

Per le forme più gravi, le opzioni chirurgiche sono sostanzialmente tre: l’emorroidectomia, la mucoprolassectomia con stapler e la legatura dei rami terminali dell’arteria emorroidaria superiore. Tutte prevedono protocolli adeguati per controllare i disagi e i dolori post-operatori.

Cosa può favorire la sindrome emorroidaria?

Il tema della malattia emorroidaria è noto su larga scala, dal momento che a soffrirne si stima che siano tre milioni di italiani. Quello che poco si considera, però, è l’aspetto legato alla prevenzione. Fa quasi effetto sentirlo rimarcare da un chirurgo: «La sindrome emorroidaria può essere la componente secondaria di un altro problema: come accade nei casi gravi di cirrosi e in alcune persone che soffrono di una malattia infiammatoria intestinale, come il morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa. O di una fase particolare della vita: vedasi le diagnosi che vengono effettuate tra le donne in gravidanza.

Ma nella maggior parte dei pazienti, il problema si manifesta in prima battuta. È in quel momento, nel corso di una visita che deve sempre prevedere l’esplorazione rettale e l’anoscopia (permette di vedere dall’interno il tratto finale dell’intestino, ndr), che molti di loro fanno i conti per la prima volta col problema».

Le opportunità per intervenire in maniera «dolce» esistono. Una dieta ricca in fibre e acqua aiuta a superare la stitichezza: considerata un fattore di rischio per la sindrome emorroidaria. Per lo stesso motivo si incentiva il paziente al movimento: l’ideale sono la camminata e la corsa, che aumentano la motilità intestinale. «In questo modo tante persone risolvono il problema nell’arco di un paio di giorni», chiarisce Bondurri. Altri fattori predisponenti sono l’obesità e la diarrea: risolvendo questi aspetti, nella maggior parte dei casi in pochi giorni sfuma anche l’infiammazione che determina il problema.

Twitter @fabioditodaro


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