L’esercizio fisico andrebbe prescritto come un farmaco, tale la sua efficacia nel prevenire le malattie croniche ma anche nel migliorare la prognosi e la qualità di vita nel suo complesso. È questa la prima raccomandazione contenuta nel report che l’Istituto nazionale per la salute e la ricerca medica (Inserm) di Parigi ha redatto su richiesta del ministero dello sport per fare il punto sul ruolo dell’attività fisica nella prevenzione e nella cura delle malattie croniche non trasmissibili (quelle legate al fumo, al tabacco, all’alimentazione e alla sedentarietà).

È un’analisi della letteratura scientifica internazionale sull’argomento per rispondere ad alcune questioni come quale attività sia la più adatta alle varie condizioni, quale il reale impatto sul percorso di cura e quale sia il modo migliore per rendere il movimento un’abitudine regolare e duratura e aiutare le persone a non smettere di muoversi.

Il report «Expertise Collective Insern» sull’attività fisica nella prevenzione e trattamento delle malattie croniche. Una dozzina le malattie prese in considerazione nel report dell’Insern, sia in modo trasversale sia considerate individualmente, nei capitoli dedicati: malattie cardiovascolari, respiratorie croniche, oncologiche, mentali, muscoloscheletriche, diabete, obesità e multimorbidità. Il lavoro è stato condotto da un gruppo multidisciplinare di tredici ricercatori esperti in vari campi legati alle malattie croniche, alla medicina dello sport, all’epidemiologia e alla psicologia. I vari gruppi dedicati a ogni singola patologia, invece, erano composti da una decina di esperti e hanno lavorato dai 12 ai 18 mesi.

Mantenersi in salute. Ogni anno nel mondo 41 milioni di persone vengono uccise prematuramente da malattie croniche prevenibili che, secondo l’Oms, nel 2030 saranno all’origine di 52 milioni di decessi. Inoltre, il 35% degli europei ha più di 65 anni. I cambiamenti demografici cui assistiamo impongono una risposta rapida, adeguata e coordinata. Promuovere la salute e prevenire le malattie in una popolazione che invecchia avrà delle conseguenze positive anche sul benessere economico delle società. Il report, infine, ricorda che l’incidenza delle malattie croniche non trasmissibili è legata alle risorse dell’individuo e che lo status socio-economico di una persona non solo è un fattore di rischio per la salute, ma è un determinante - e quindi una causa - degli altri fattori di rischio.

Muoversi contro la malattia. «Quella della prevenzione di complicazioni, recidive, esacerbazioni e aggravamenti delle malattie croniche è una questione importante tanto per il benessere delle persone che per la sostenibilità del nostro sistema sanitario» scrivono gli autori nell’introduzione. Mettere chi soffre di una malattia cronica nelle condizioni di praticare in maniera costante l’attività fisica più adeguata, rimuovendo eventuali freni fisici e psicologici e ostacoli materiali e promuovendo i fattori favorenti, è tanto importante quanto l’aver compreso l’importanza dell’efficacia del movimento. Tuttavia, ciò richiede, come sottolinea il report, un lavoro sinergico tra i vari attori e decisori politici del settore sanitario, sociale e sportivo, ma anche urbano, dei trasporti e territoriale.

Le raccomandazioni. L’impatto positivo del movimento sull’organismo sano, che invecchia o che è malato è indubbio e quel che serve ora, spiegano gli scienziati, è «un nuovo modo di guardare al paziente e una presa di coscienza collettiva».

ECCO I 4 PUNTI FONDAMENTALI

1. Sì all’attività fisica. Gli studi scientifici dimostrano che i benefici fisici del movimento sono tanto maggiori quanto più precocemente esso viene introdotto dopo la diagnosi. Infatti, le patologie croniche determinano spesso una progressiva sedentarietà, con indebolimento muscolare e riduzione delle capacità funzionali dell’organismo. L’attività fisica aiuta a contrastare questa situazione e va prevista, adattandola, in ogni tappa del percorso terapeutico.

2. Personalizzare. I principali ostacoli alla pratica dell’attività fisica sono di solito legati alla patologia, come il dolore e l’affaticamento. La sfida principale è quindi quella di adattare la pratica allo stato di salute del paziente, nonché alle sue capacità fisiche, alla sua condizione e alle sue risorse psicosociali.

3. Spiegare perché. Fissare gli obiettivi dei vari interventi di esercizio fisico e adottare un approccio educativo per incoraggiare l’impegno del paziente a un progetto di lungo termine, sostenendo la motivazione che non può ridursi a compiacere gli altri o seguire le indicazioni del medico. Il piacere di muoversi e la motivazione personale contano molto nella creazione di una routine e nel mantenimento di una nuova abitudine.

4. Formare i medici e continuare con la ricerca, specifica per patologie, per valutare l’efficacia dei vari programmi di attività fisica specifici per patologia e per capire i meccanismi biologici alla base dei benefici indotti dall’attività fisica.

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